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  26/04/2024 - 08:42

 

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Rigoletto
Di Giuseppe Verdi
Regia di Massimo Pezzutti, scene e costumi di Stefania Battaglia, orchestra e coro Carlo Alfredo Mussinelli diretti da Piero Papini
Al Teatro Civico di La Spezia il 10 e 11 maggio 2008

 




                     di Giovanni Ballerini


E’ un Rigoletto sorprendente, intenso e, a suo modo innovativo, quello che è andato in scena il 10 e 11 maggio 2008 al Teatro Civico di La Spezia con l’orchestra e il coro  Carlo Alfredo Mussinelli, diretta da Piero Papini, la regia di Massimo Pezzutti, le scene e i costumi di Stefania Battaglia.

A fronte di una scarsezza di mezzi purtroppo atavica per le produzioni periferiche, per la realizzazione di questo Rigoletto c’è stata una determinazione e una freschezza espressiva che dovrebbe fare pensare quelli che vedono la lirica solo come citazione di un pensiero italiano d’antan, quelli che (al di là delle solite ribalte privilegiate) sottovalutano e mettono in crisi di identità e di budget la creatività lirica di oggi.

Figlia del concorso lirico internazionale “Giovanni Pacini”, giunto quest’anno alla terza edizione, (tenutasi al Teatro Dante di Campi Bisenzio con il grande baritono campigiano Rolando Panerai  in veste di Presidente della giuria), allo sforzo produttivo dell'Associazione Culturale “C. A. Mussinelli”, sostenuta dal contributo della Fondazione CARISPE nell’ambito della programmazione di “Progettomusica” e dell’entusiasta impegno dei suoi artefici, questa operazione ha colpito al cuore il pubblico ligure (in realtà non solo) e ha meritato gli oltre 5 minuti di applausi che nella due rappresentazioni sono sbocciati, irrefrenabili. Convinti.

Una scommessa vinta. Con talento, grazie alla verve registica e scenica. L’edizione spezina di Rigoletto ha fatto scoprire, accanto all’interpretazione sicura dei solisti professionisti, due voci interessanti scaturire dal concorso. Due future protagoniste delle ribalte liriche  (visto l’intensità dell’interpretazione glielo auguriamo) come la soprano turca Pervin Cakar (Gilda) e la mezzo soprano torinese Margherita Settimo (Maddalena e Giovanna). Da sottolineare l’apprezzabile esecuzione dell'orchestra diretta, con chiara incisività di disegno e vigilanza espressiva, dal Maestro Piero Papini. E l'efficace prova del coro.
Il resto (e non è poco) l’ha fatto la determinazione di un manipolo di creativi, che ha voluto portare alla ribalta questo progetto, con nuove idee e un modo di rileggere il melodramma attuale, fluido e allo stesso tempo assolutamente in linea con la struttura dell’opera.

Ottima l’intuizione della poliedrica scenografa Stefania Battaglia di risolvere il sapiente incastro di spazi interni ed esterni, di luoghi aulici e rustici della scrittura verdiana, declinandoli in un dispositivo scenico non convenzionale, basato su un sistema di elementi modulari, polivalenti (e semoventi), in grado di condensare e traslare in segni essenziali ambienti e atmosfere. Sorta di stazioni sceniche in cui si incardinano le corrispondenti stazioni drammatiche della livida vicenda e offrono al regista Massimo Pezzutti il destro per dirigere i cantanti in un percorso non scontato, logico e forte che ha scavato le emozioni, esaltato il pathos, irriso ogni tentativo  banalmente naturalistico di vivere il plot. Filtrando e prosciugando fino a scolpire con mano sicura il cuore emotivo del dramma, quel fatale incalzare degli eventi che travolge l’innocenza ingenua di Gilda, facendone la vittima sacrificale, Pezzutti ha proposto una messa in scena non usuale, che ha il pregio di cementare lo scorrere aspro e rapido del racconto intorno alla sostanza tragica che balena dalle note verdiane, favorendo un efficace e vibrante rapporto tra palcoscenico e orchestra.

Fra le scelte indovinate (e originali) di Pezzutti ci ha colpito l’intento di evidenziare (e sottolineare) la conoscenza biblica fra il Duca di Mantova e Gilda (la figlia di Rigoletto), tramite una macchia rossa che segna il suo candido vestito di vergine, una volta riconsegnata alle braccia del padre dopo il rapimento. L’esito fatale dello stupro sarà ulteriormente rinforzato nel III atto dalla scelta registica di fare trafiggere l’amante - vittima da uno Sparafucile, armato non del suo pugnale, dimenticato nella stanza ceduta al riposo del Duca, ma della spada stessa di cui il  tiranno libertino si è spogliato, per abbandonarsi ai piaceri di Maddalena.

Particolarmente avvolgente e suggestivo anche il gran finale che, invece di far culminare la storia con l’ultimo abbraccio di Rigoletto alla figlia agonizzante, prosegue di qualche fotogramma, schiudendo in campo lungo, con un tableau di solennità neoclassica, il carminio patibolo del Conte di Monterone.

L’immoralità del potere riassunta nel  tragico destino delle sue vittime. La maledizione, così come la vendetta che si ritorcono su chi le ha ordite. L’inutilità della ribellione e l’inevitabile ritorno all’ordine.

Un epilogo che propone una lettura del capolavoro verdiano al di là della patetica storia di amore e morte e consona piuttosto al senso espresso da Victor Hugo nel dramma Le roi s’amuse che ispirò il musicista.

Questo Rigoletto che, ci auguriamo venga presto ripreso e proposto in tour, è insomma sicuramente illuminato da sprazzi di ingegno tipicamente italiano, da professionalità e da impegno. Un lavoro sezionato e risolto anche nei suoi lati più oscuri, che aderisce a quell’urgenza comunicativa che Giuseppe Verdi ha saputo infondere alla sua prima opera della trilogia popolare.

Voto 8 

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