In apnea, Teatro Sotterraneo, 2005
Uno – Il corpo del condannato, Teatro Sotterraneo, 2006
Tilt, Teatro Sotterraneo e la regia di Jillian Keiley, 2006
Post It, Teatro Sotterraneo, 2007
La Cosa 1, Teatro Sotterraneo, 2007
Suite, Teatro Sotterraneo, 2008
Dies Irae, Teatro Sotterraneo, 2009
Una casa di lego, che potrebbe essere
quello di Hansel e Gretel o una già preimballata dell’Ikea, scatole, frigo, sedie, tavolo.
Claudio Cirri è molto fisico, Matteo Ceccarelli è un barelliere con una blasfema corona di spine
in testa fatta con gli acchiappini. Iacopo Braca è il barbone con la pistola, Paravidino in “Peanuts”, che ha
dormito in casa, Sara Bonaventura è la ragazza, finta incinta, vestita da
benzinaio. Un cartello stradale, un bidone. La tv è sotto il tavolo ed è significativo. La porta di casa è bassa come negli uffici di
“Essere John Malkovich”, la colonna sonora è fatta di suoni naturali
prodotti con gli oggetti di uso casalingo, tra Momix e la
Fantasia disneyana: spiccioli,
fogli tagliati in due, una scopa che spazza.
Si nota palpabile l’influenza dei
Kinkaleri sul
lavoro del Teatro
Sotterraneo.
Il disagio è
palpabile, la situazione è decrepita, il quartiere distrutto. I
tentativi di suicidio collettivo ed allo stesso tempo reiterato ed
assolutamente individuale, con musica ossessiva alle spalle, sono la parte più
riuscita del pezzo. E’ una danza contemporanea, un refuso di animalità
e gioia seppur il tema sia noir. Chi si butta da una sedia,
chi prende barbiturici, chi si soffoca con il cuscino, chi s’impicca, chi si
butta, chi si trafigge con una scopa, chi si decapita nella cassapanca, chi
cade all’indietro e sempre c’è il salvatore della Patria, il Superman che tutto
mette a posto, che salva, corre a perdifiato fino allo sfinimento ed alle
conseguenze ultime. I prezzi delle case aumentano, vedi
Monticchiello 2005. Sopra una base hip hop un gran rap
vocale, alla Frankie
Hi Energy o Caparezza,
esalta le doti dei quattro, adesso con i caschi da minatori stile Diogene.
Arrivano i colpi con il sorriso
alla Fight Club con tanto di wrestling.
Un buon lavoro
anche se a tratti troppo concettuale, dove si ha sempre la sensazione che
dall’altra parte si voglia dimostrare qualcosa oltre il presente e l’attuale
sulla scena, con riferimenti e citazioni striscianti, gli oggetti, le danze, le
parole, tutto diviene sovraffollato e pieno, debordante.
Voto
6 ½