In apnea, Teatro Sotterraneo, 2005
Uno – Il corpo del condannato, Teatro Sotterraneo, 2006
Tilt, Teatro Sotterraneo e la regia di Jillian Keiley, 2006
Post It, Teatro Sotterraneo, 2007
La Cosa 1, Teatro Sotterraneo, 2007
Suite, Teatro Sotterraneo, 2008
Dies Irae, Teatro Sotterraneo, 2009
"Ridere sempre così giocondo, ridere delle follie del mondo, vivere finché c’è gioventù, perché la vita è bella la voglio vivere sempre più” (“Vivere”).
"Adesso penso che, chissà quante volte hai riso tu di me” (Vasco Rossi, “Ridere di te”)
Ride bene chi ride ultimo. Non è sempre vero. Anzi. Il
riso abbonda sulla bocca degli stolti. Ne potremmo discutere, visto che, come
ci sottolineano i Sotterraneo in questa loro
indagine sociologico- antropologica, più da conferenza che da piece soprattutto
nella prima parte che già avemmo occasione di vedere al tempo della Notte Bianca fiorentina al Teatro della Pergola, l’uomo è l’unico animale sul globo che sa ridere, forse proprio
per combattere la drammaticità e la tragicità del complesso sistema in cui si è
infilato rendendo tutto più difficile. Un motto anonimo dice che “Il riso è la
distanza più corta tra due persone”, mentre Giacomo Leopardi sosteneva che “chi
sa ridere è padrone del mondo”, il ché non collima con l’assurda tesi della sua negatività e del suo pessimismo cosmico, mai comico. L’esimio Freud ci viene incontro con la sua perifrasi “L’umorismo è il più eminente
meccanismo di difesa”. E’ proprio qui che la lingua batte dove il dente duole.
Questo è l’arcano, il nodo da sciogliere per Daniele Villa e soci.
Perché si ride. Per emulazione, per esorcizzare un momento, un accadimento, per
allontanare la morte, il dolore, per sentirsi vivi e soprattutto vegeti. Si
ride ai funerali, si ride quando qualcuno cade o si fa
male vicino a noi, si ride per isteria quando fuori tutto impazza, per non
farsi prendere e soggiogare dalla follia dilagante. Il riso è il parente più
viscerale del sorriso, più sobrio e timido e quindi per questo considerato più
elegante. E’ utile sentire, e soprattutto ascoltare in sottofondo, “Il
pagliaccio” del cantastorie romano Alessandro
Mannarino. Charlie Chaplin credeva “nel potere
del riso e delle lacrime come antidoto all’odio e al terrore”. Quindi ridere ci serve per usare meno bombe. Un’arma pacifista,
insomma. Ovviamente il cinico Nietzsche affermava che “non si può ridere di
tutto e di tutti, ma ci si può provare”, quindi il riso anche come arma tagliente
che può essere coniugata nel dileggio, nella vergogna, per mettere alla berlina
o alla gogna. Meno male che ci viene sempre in soccorso, a salvarci, Woody
Allen che assicura che “il sesso è stata la cosa più
divertente che ho fatto senza ridere”: molte donne potrebbero giurare il
contrario. “Homo ridens” (e non la donna) dà subito
l’impressione di voler mirare ad una sorta di cabaret
scientifico da una parte, con dati, documenti e numeri, un test sul pubblico,
dall’altra ha il retrogusto delle Comiche, di quelle che ti lasciano un po’ in
sospeso, in balia della prossima ondata, o meglio il sapore che lascia, come
lingua d’asfalto, potrebbe essere assimilabile ai Monty
Python: profondità trattata con il naso rosso del
clown. La prova della scoreggia conferma la tesi della mediocrità del pubblico
quando si fa massa e abbandona l’individualità per immergersi, disperdersi e
confondersi in una moltitudine astratta dove nessuno è responsabile delle
proprie azioni, dove si può tranquillamente delegare a scaricabarile sul
compagno occasionale a fianco. La ripetitività delle azioni, con la faccia senza reazioni e neutra dei quattro più uno, il tono
netto e distaccato che li contraddistingue, schiaffeggiano il senso comune del
meccanismo della risata, scandagliandola e dicendoci a chiare lettere “non c’è
niente da ridere”. Aggiungo: stupidi. Ridono anche quando i Sotterranei ne
provano di tutte per suicidarsi (gag già vista in uno dei loro primi lavori,
“11/10 in apnea”), il cappio, il phon nell’acqua, il fuoco, la bomba, la
pistola. Si rincorre un’ipotesi da Giochi senza Frontiere con concorrenti e varie prove. Non manca l’attacco alla Chiesa, Gesù che iconograficamente non è mai ritratto sorridente. Non manca la
violenza, chiamiamola “riccifortesca”. Si apre qui una nuova fase del Teatro Sotterraneo ancora in divenire, ancora nebulosa,
tutta da scoprire, su un format che punta molto più forte sull’interazione
platea-palco in uno scambio-deriva che potrebbe essere tacciato di “televisivo”, che ha costantemente bisogno del rifugio-riparo nella sala perdendo drammaturgicamente in sostanza autonoma.
Voto
7