Ricci/Forte, Macadamia Nut Brittle, 2010
Ricci/Forte, Macadamia Nut Brittle, 2011
Ricci/Forte, presentazione Grimmless, 2011
Ricci/Forte, recensione Grimmless, 2011
Ricci/Forte, Troia’s discount, 2011
Ricci/Forte, Wunderkammer Soap # 1_Didone, 2011
"Ogni giorno racconto la favola mia, la racconto ogni giorno, chiunque tu sia. Queste luci impazzite si accendono e tu cambi faccia ogni sera, ma sei sempre tu. E mi trucco perché la vita mia, non mi riconosca e vada via” (Renato Zero, “La favola mia”).
“Cosa non darei per stare su una
nuvola. Cosa non farei, cosa non darei per vivere una favola” (Vasco Rossi, “Vivere una favola”).
Era un Paese da favola. Adesso è soltanto una Nazione di favole, uno Stivale a forma di bara tricolore. Non c’è posto per le fiabe. Non è più il Paese dei Balocchi. Pinocchio è rimasto con Lucignolo in mezzo agli asini, Cappuccetto Rosso è impigliata alle spine nel fitto bosco, la Bella Addormentata è assopita in un sonno lungo e profondo, Pollicino, non trovando comunque la retta via, se le è mangiate le briciole. Ricci Forte in questo nuovo alfabeto di segni che è Grimmless sono ancora, se possibile, più barocchi, con slanci lirici, punte melò, intermezzi splatter, spot gotici. E’ un mangia e bevi continuo, altalena di sentimenti e privazioni, ascensore per l’Inferno e risalita da capogiro. Grimmless è torcicollo, guardandosi dentro lo sterno, è nausea e vertigini, affranti,
invaghiti, è un calarsi nei bassifondi, camminare a piedi nudi su un campo minato, i giorni passati, quelli futuribili a cui dare senso e significato, intrappolati in negativi fotografici scattati obliqui e mossi. Il percorso dei RF continua nella direzione del
pop, su quella sottile linea rossa scavata tra la violenza e la quotidianità, ormai accettata e sdoganata a tutti i livelli. Si passa il segno, si alza l’asticella, la soglia di un tempo non fa più testo né sorpresa né reato. La domanda che martella, tra frazioni di musica dance e intimistiche confessioni con tanto di microfono (ancora da trovare l’alchimia tra le due parti), è
sempre quella del “chi siamo?”, alla quale la ricerca riccifortiana non dà, non trova, non cerca risposte, almeno immediate, ma tenta di mettere sul piatto le possibilità, le opportunità del vissuto e del vivendo per scovare la dialetticità per superare l’empasse, emotivo e sentimentale. Come fossimo caduti in una grande
buca fangosa e scivolosa e l’abituarsi all’immondizia sia più semplice che toglierla, come se la puzza sia entrata nelle vene, e che non basti soffiarsi il naso. Attori energici e contemporaneamente carichi di un’adrenalina spirituale catartica, Anna Gualdo sembra a più riprese Mariangela Gualtieri della
Valdoca, ora in coreografie ritmate al ritmo di ruote di trolley che scivolano e strusciano,
carcasse di plastica che contengono l’oggettistica utile per tentare di arginare le problematiche del mondo là fuori, tentare di essere meno impacciati, meno impauriti, goffi o timidi. La miglior difesa è l’attacco. Lampi
delle messinscene di Rodrigo Garcia. L’animale ferito morde, graffia, fa sanguinare. Ci sono le bacchette e i telecomando che riescono a cambiare soltanto la forma parodistica mentre niente possono per alterare i contenuti marci e deviati. Davanti a loro riflettori abbaglianti che
non lasciano scampo al pubblico costretto alla luce, a guardarsi riprodotto in questo stagno magmatico compresso. La realtà e la finzione hanno gli stessi contorni e connotati, si sono confuse, ammassate, contorte come lamiere dopo un
crash test. Il virtuale, la second life, ha
spodestato il reale e nel terremoto generale anche i lampadari per il Gran Ballo
finale cadono a terra fracassando sogni di latta. La Bella e la Bestia
sono la stessa cosa, unendo i difetti della prima e i limiti della seconda. La rabbia rimane repressa ed è possibile scagliarla soltanto nei confronti di nostri simili più deboli, la casa delle bambole di canditi, come plastico vespiano di Porta a Porta, non può fare più da scudo ad una Barbie violentata, stuprata e dilaniata nella dignità come nella scena da Arancia Meccanica. Le aspettative, che generano ansia e frustrazione, devono essere divelte e segate come il
tronco pinocchiesco addobbato col tutù. Sono più vere le scene dei Ricci Forte che tanta realtà taroccata, impiastricciata e posticcia. Una verità estrema che può dare fastidio. Le favole devono essere tolte dalla tavola imbandita, altrimenti vivere è impossibile.
Voto
7 +