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Tedavi 98
Gioie
Di Margherita Ferraris, regia Alessandro Riccio, con Fiorenza Brogi, Alessandro Riccio, Chiara Ciofini, Michela Stellabotte, Cristina Ionda, Alessio Venturini, Marcelo Spigoli, costumi Antonella Di Ludovico, sarta Daniela Ortolani
Nelle Catacombe della Basilica di San Lorenzo di Firenze dal 20 al 25 febbraio 2007

 




                     di Tommaso Chimenti


Alessandro Riccio e Davide Morena, rispettivamente registattore e produttore factotum, hanno scovato un altro luogo per proseguire la loro saga medicea. Con la lanterna di Diogene come segugi vagano per Firenze e dintorni alla ricerca di ambienti suggestivi che possano avvolgere ed ammantare le loro piece storiche in una scenografia naturale. La Chiesa di Santa Maria della croce al tempio per “L’Imperatore di Firenze”, il Lago di Bilancino per “Nel palco del Cardinale”, il castello di Cafaggiolo per “Rosso Mediceo”, le Mura di Porta Romana per “L’assedio”, la chiesa Evangelica Battista per “Lorenzaccio”, l’ex chiesa di Santa Monica per “Mentre dorme Firenze”, il giardino degli Ananassi per “Dame a Boboli”, la Villa di Maiano per “Abbecedario Mediceo”, il Baluardo di san Giorgio per “L’elsa di sangue”. Il pubblico viene a vedere, con la scusa del teatro, anche il luogo nascosto ai più. Stavolta sono i sotterranei della chiesa di San Lorenzo. Questo “Gioie” nel 2003 all’Oratorio di San Nicola al Ceppo accolse 4.000 persone. Ormai i Tedavi sono oggetto di culto ed oltre allo zoccolo duro fiorentino attorno a loro si è creato quel circolo-vortice di spettatori mordi e fuggi frutto del nuovo turismo. Branchi(e) di giovani americani, che cosa avranno capito?, facce orientali. Non è né un male né un peccato ma una constatazione. Due file lungo la navata centrale sotto le grandi volte ad arco: in prima battuta panche con inginocchiatoio da parrocchia, dietro sedie di legno da cinema d’essai di provincia. Ai lati i due palchi-altari prendono gli occhi in un ping pong costante mentre nel centro una lingua di piastrelle rosse di cotto sembra il velluto steso per il passaggio degli sposi. Fa freddo qui sotto. Fiorenza Brogi è la protagonista Anna Maria Ludovica che fa l’inventario della roba pirandelliana, vedova nera e luttuosa, che ricorda rievocandola la propria esistenza in un continuo sdoppiamento corporale tra presente e passato. Tutto su mia madre in una analisi freudiana del rapporto con la scostante genitrice che, provenendo dai palazzi e giardini parigini, viveva in una opprimente gabbia dorata e sentiva Firenze e la Toscana, chiusa ed soffocante, come può sembrare Pescia ad un londinese. La Brogi sulla scena è fiera come Anna Bonaiuto, irruente e sicura come Maddalena Crippa. Somigliante a Virna Lisi. Riccio (un Cosimo animalesco e ignorante) stavolta non spicca e le sue doti rimangono zavorrate a terra e tarpate nel cammeo di mutismo cucitogli addosso che non gli si addice, lui che trova nella parola il giusto salto per entrare nel gesto, il trampolino per dare il la alle sue geometrie dirompenti e prorompenti di movimenti flessuosi. Alessio Venturini fa un passo indietro e perde smalto rispetto all’approccio con l’Arca Azzurra di Ugo Chiti. Lo ricordiamo in “4 bombe in tasca” o nell’ultimo episodio di “Racconti, solo racconti” nei panni di uno “Sbandato” polveroso e malmesso ma pieno d’astratta poesia, nella “Genesi, i Ribelli”, in “Amleto in farsa tragedia”, nella truce “I ragazzi di via della Scala” sempre perfettamente incastonato tra il dialetto ed il quadro ingiallito voluto dal regista di “Albergo Roma”. E’ teatro? Non lo so, ma funziona, almeno per gli spettatori. Non è poco in un settore in crisi, anche se non basta. Sa di turistico, stereotipato e patinato come andare a vedere il flamenco a Madrid ed il tango a Buones Aires, come “Trappola per topi” a Londra ed il Can Can al Moulin Rouge.

Voto 6 

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