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Babilonia Teatri
Made in Italy
Di e con Valeria Raimondi, Enrico Castellani, scene di Babilonia Teatri / Gianni Volpe, costumi di Franca Piccoli, Luci e audio di Ilaria Dalle Donne, movimenti di scena di Luca Scotton
Al Drodesera Fies a Dro (Trento), il festival in programma dal 25 luglio al 2 agosto 2008 alla Centrale Idroelettrica di Fies a Dro

 




                     di Tommaso Chimenti


Babilonia Teatri, The End, 2010
Babilonia Teatri, Pop star, 2009
Babilonia Teatri, recensione Pornobboy, 2008
Babilonia Teatri, presentazione Pornobboy, 2008
Babilonia Teatri, Made in Italy, 2008


Non è certo un’Italia da cartolina quella che presentano i Babilonia Teatri al Drodesera Fies di Dro. Un Belpaese popolato da strane figure vestite di normalità, una rabbia diffusa, una violenza sottesa e dilagante, una tensione sociale che si esplica in bestemmie tirate a lucido, in gesti dell’ombrello durante i Mondiali di calcio. Non siamo per noi, siamo contro gli altri. Ma è una visione parziale dell’Italia. Di un certo tipo d’Italia, di una parte. “Made in Nord Est” sarebbe stato sicuramente più appropriato. Anche perché molti aspetti di quell’intorno che i due sulla scena, parlando in sincrono e sovrapponendosi, mangiandosi le parole a vicenda, alzando il tono via via che la drammaturgia frazionata prende corpo, sono reali e visibili e tangibili soltanto in quel nord da Lega frutto di stereotipi che ci fa ridere sul piccolo schermo nei panni di Albanese, di Paolo Rossi. E i Babilonia non fanno altro che riproporli. Ne emerge una fetta maleducata e vigliacca di tricolore che ha valori come il denaro, le macchine e l’andare a prostitute. Nessun rispetto per l’essere umano, nani brontoloni e ingenui che cercano Biancaneve bellissime ed a pagamento, confusi in luoghi comuni, in improperi come intercalare, usati come virgole, impantanati in quell’insoddisfazione, da una parte generazionale dall’altra politica, da un’altra ancora economica e geografica, che tutto appiattisce e tutto vorrebbe distruggere, fagocitare, globalizzare ad uno status quo, a regole condivise, abbassare all’accettazione senza discussione, senza contaminazione. Impossibile in zone di confine, in zone di immigrazione. Ci sarebbero stati bene anche Fabri Fibra o Frankie Hi Nrg. E’ una provincia che urla la sua disperazione, la grida con la bava alla bocca, con gli occhi fuori dalle orbite, con il volume a tutta, un’Italia che ascolta in televisione il funerale di Pavarotti (davvero di cattivo gusto il tecnico corpulento sdraiato a terra morto mentre in audio scorre la cerimonia del funerale del tenore, qui non si tratta di essere politicamente scorretti) e la sera passa sui marciapiedi e compra carne fresca, che offende Dio appena uscito dalla messa domenicale, che s’incolla alla tv solo per vedere la pubblicità di Italia 1, che prende l’aureola e la fa a brandelli sporcandola nel sesso più osceno. Una vignetta di questi giorni di Ellekappa è lampante: “In Europa pensano che siamo xenofobi”, dice uno. “Maledetti stranieri”, risponde l’altro. E’ un’Italia nazional-popolare, buona per ogni occasione, su cui far leva in tempi di elezioni, ignorante e depressa, disillusa e incattivita, che canta Toto Cutugno e Venditti e s’abbraccia soltanto ogni quattro anni per gli Azzurri del pallone. “Non studio, non lavoro, non guardo la tv, non vado al cinema, non faccio sport”. Ecco la fotografia che Giovanni Lindo Ferretti scattò in musica negli anni ’80. Tutto è cambiato, nulla è cambiato.

Voto 7 

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