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  19/04/2024 - 23:14

 

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Scanner - live
 


Giorgio Albertazzi e Antonio Latella
Moby Dick
Il grande attore incontra il regista nel segno di Hermann Melville. Altri Interpreti Emiliano Brioschi, Marco Cacciola, Marco Foschi, Timothy Martin, Giuseppe Papa, Fabio Pasquini, Annibale Pavone, Enrico Roccaforte, Rosario Tedesco
Tournée 2007- 2008: Spoleto, Teatro San Niccolò, domenica 14 ottobre. Terni, Teatro Verdi, 16 e 17 ottobre. Pistoia, Teatro Manzoni, dal 19 al 21 ottobre. Firenze, Teatro La Pergola, dal 23 al 28 ottobre. Urbino, Teatro Raffaello Sanzio, 30 e 31 ottobre. Fermo, Teatro dell’Aquila, 2 e 3 novembre. Parigi, Théâtre National de l’Odéon, dal 7 all’11 novembre. Bologna, Teatro Arena del Sole, dal 21 al 25 novembre. Roma, Teatro Argentina, dal 28 novembre al 16 dicembre. Salerno, Teatro Verdi, dal 18 al 23 dicembre. Lione, Théâtre National Populaire, dal 9 all’11 gennaio 2008. Perugia, Teatro Morlacchi, dal 15 al 20 gennaio

 




                     di Tommaso Chimenti


Giorgio Albertazzi, Antonio Latella, Moby Dick, 2007, presentazione
Giorgio Albertazzi, Antonio Latella, Moby Dick, 2007, recensione


Mille fastidiosi colpi di tosse da lazzaretto contagioso per l’apertura del Manzoni di Pistoia. Fornire uno spray per la gola all’entrata sarebbe necessario. O, al limite, un po’ d’educazione. L’ultima fuga da inseguire, assieme alla giovinezza, è l’infinitezza che naviga a vista sul fondo, il grande mostro che fa capolino, chiamala coscienza, tra gli abissi e la ragione perduta. “Moby Dick” (alla Pergola di Firenze dal 23 al 28) è mare come metafora. L’oceano è la grande distanza incolmabile, il passaggio ultimo, chiamalo morte, l’ultima battaglia prima della nuova genesi rigenerante. E la vendetta si pacifica e, dopo la tempesta dell’esistenza, si fa quiete leopardiana. “Il vecchio e il mare” di Hemingway. Latella, che già recitò nel Moby Dick con Gassman padre e figlio, rinverdisce l’epopea del capitano zoppo Achab, un grande Albertazzi pieno nella parte che entra in gioco dopo cinquanta minuti, e del giovane, passaggio di consegne, Ismaele, Marco Foschi (“Fame chimica”). Oceano mare: né giapponesi né norvegesi né Greenpeace. Geppetto e Pinocchio. Achab, Caronte che porta in mare aperto la propria carcassa nella punizione-pentimento definitivo, Ulisse senza più porto, ha perduto, come Capitan Uncino la mano ad opera del coccodrillo, una gamba nella lotta con la balena perché “corteggiare l’acqua senza finirci dentro” è impossibile. E nell’impianto di Melville (splendido anche il suo racconto, poco conosciuto, “Lo scrivano Bartleby”) Latella inserisce azzeccati stralci dall’Inferno di Dante, “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”, o dall’Amleto shakespeariano, “Essere o non essere”. Il gruppo di balenieri, tra ironia e bastone, ricordano Alex e soci in “Arancia meccanica”, macellai filosofi della giustezza dello scontro, mentre Ismaele di fronte a loro è Gesù tra i saggi nel tempio fino a scardinarli. Emozionante il muro del linguaggio dei segni, coreografia gutturale e onomatopeica muta, kata concettuale di figure e ideogrammi di gesti. L’acqua vitale del grembo materno di rumori bestiali e ancestrali da sirene accoglie le spoglie nel giro che chiude il cerchio. In uno studio-scatola illuminata in alto, Achab sta immerso, Gambadilegno disneyano, dittatore perdente e stanco, tra volumi massicci (tutti “Moby Dick”), “Faust” e “Fahrenheit”, annegante tra le carte forsennate e disperatissime, bianco accecante di luce al neon, governa l’impalcatura della scena, telaio di nave in costruzione, quadrato svedese sul piano inclinato, con vasca centrale, e orizzontale dove marinai equilibristi, scimmie da zoo, si arrampicano, larve nel legno traforato, ginnasti da “Medea”. Assolutamente da sfogliare, ed avere, il volume fotografico della produzione.

Voto 8 

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