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  26/04/2024 - 08:43

 

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Vivo in una giungla
Dormo sulle spine
Con Amanda Sandrelli, Luchino Giordana e Alessio Zirulia. Scritto da Laura Sicignano (che cura anche la regia) e Shahzeb Iqbal, Scene e costumi Stefania Battaglia, disegno luci Andrea Narese
Prima nazionale domenica 6 agosto 2017 al Festival di Borgio Verezzi, il 15 settembre inaugura il Festival Avamposti nel Cortile del Museo del Bargello di Firenze, al Teatro Stabile di Genova dal 15 novembre al 19 novembre 2017. Produzione Teatro delle Donne Centro Nazionale di Drammaturgia / Teatro Cargo

 




                     di Giovanni Ballerini


Non è frutto di un instant book su un tema quanto mai di attualità - gli sbarchi in Europa e l’epopea dei migranti -  ma di un percorso laboratoriale, di cui costituisce l’ultima tappa, con un gruppo di giovanissimi rifugiati, giunti dai paesi più difficili di Asia e Africa. Stiamo parlando di “Vivo in una giungla, dormo sulle spine”, il testo scritto a quattro mani da Laura Sicignano – che ne cura anche la regia -  e Shahzeb Iqbal, uno dei ragazzi che hanno partecipato al progetto, iniziato nel 2011, che ha coinvolto minori non accompagnati, ospitati in due comunità genovesi per richiedenti asilo. La fuga di Shahzeb dal Pakistan, le peripezie tra  Iran, Turchia e Grecia, con un’organizzazione di trafficanti, così come le problematiche di accoglienza in una comunità per minori in Italia, forniscono materiali e  spunti per una storia che, senza farsi cronaca, riflette sull’argomento e lo osserva da vicino. Evidenziando anche la quotidiana difficoltà di chi è in prima linea – avvocati, tutori, responsabili dei Centri – nella ricerca di una dialogo tra culture troppo diverse a contatto (forzato e reiterato) nella contemporaneità.
“Vivo in una giungla, dormo sulle spine” è un verso di un poema popolare pakistano spiega Laura Sicignano. L’ha pronunciato Shahzeb, durante il laboratorio per “ Odissea dei ragazzi ”, prima tappa del progetto, in  risposta alla  richiesta di trovare una frase in cui si riconoscesse. “L'ha detta nella sua lingua, ovviamente. Erano da poco arrivati in Italia, dopo viaggi non raccontabili, minorenni, soli. Nessuno di loro era mai entrato in un teatro prima. Il testo è basato sulle storie vere che il giovane rifugiato pakistano mi ha raccontato. Storie di fughe, di viaggi notturni, di migliaia di dollari, di kalashnikov, di abbandoni, di bambini costretti ad imparare troppe cose, troppo presto”.
Mentre i precedenti tre spettacoli – Odissea dei ragazzi, Bianco & Nero e Compleanno Afghano - scaturiti dal progetto laboratoriale con i rifugiati minorenni delle due comunità hanno visto in scena gli stessi ragazzi, “Vivo in una giungla, dormo sulle spine” si avvale di un cast di interpreti di rilievo, Amanda Sandrelli e Luchino Giordana, oltre al giovane Alessio Zirulia, e dell’impaginatura scenica firmata da Stefania Battaglia che coniuga in un set astratto e flessibile, strutture minimaliste e apparati video.
Lo spettacolo che ne è nato, prodotto  dal   Teatro delle Donne Centro Nazionale di Drammaturgia in collaborazione con Teatro Cargo di Genova, debutta in prima nazionale domenica 6 agosto 2017 al Festival di Borgio Verezzi, il 15 settembre alle 21.30 inaugura il Festival Avamposti nel Cortile del Museo del Bargello di Firenze e sarà rappresentato al Teatro Stabile di Genova dal 15 novembre al 19 novembre 2017.
La fresca e intensa comunicativa di Amanda Sandrelli dà vita al personaggio di Viviana, l’avvocatessa-tutrice di cui l’incontro, prima conflittuale, poi affettivo con il giovane Sher (Alessio Zirulia), mette a nudo le fragilità e le ipocrisie. Mandando in mille pezzi anche la relazione sentimentale con Paolo (Luchino Giordana), cinico direttore del centro di accoglienza che già da tempo ha smesso di credere al confronto – incontro fra culture. La Sicignano indaga queste quotidianità traballanti e racconta di corpi, esistenze, voci e sensibilità in fuga da se stesse, oltre che da mondi ostili (non per forza lontani).
“L’arrivo dello straniero scardina il fragile equilibrio della vita dei protagonisti - spiega Laura Sicignano -. La relazione tra i personaggi è un incontro tra solitudini, dove la verità emerge solo a frammenti. Il dialogo fra culture così diverse è impossibile? Affrontare la diversità fa paura, ma è inevitabile e rappresenta la difficile prova per comprendere davvero noi stessi”.
Il dipanarsi della vicenda si snoda temporalmente in un susseguirsi di situazioni diurne e notturne, dislocate in molteplici ambienti interni ed esterni, che disegnano la mappa di una delle tante indifferenziate città dei nostri giorni. Nessuna concessione però al descrittivismo, ma un’asciutta e geometrica struttura scenica che gioca con pluralità di allusioni d’ambiente e di funzioni d’uso.
“Il set scenico che ho ideato aderisce agli slittamenti spazio-temporali del testo – sottolinea la scenografa Stefania Battaglia - Ne integra il carattere compositivo, grazie a un uso perturbante della luce e degli apparati video, concepiti come materiali di progetto altrettanto essenziali ad estrinsecare il rapporto tra figurazione dello spazio e tempo drammatico. La sua natura flessibile, basata su un rapporto di stretta complicità con gli attori, si articola in due strutture, dimensionate in una scala proporzionale non prevaricante, e pochi oggetti di uso quotidiano”.
Un monolite scuro adagiato su un lato dello spazio, funge da mobile casalingo per funzioni domestiche molteplici – libreria, cucina, armadio, ripostiglio, nicchia – così come da schermo proiettivo per le derive web di Viviana in paesaggi oltre frontiera insanguinati da faide e guerre tribali. E ancora, pagina digitale a grande scala, in cui si infrangono le scritture rapide di sms e chat tra Viviana e Sher.
"Le trasformazioni/allusioni di questo ingegno contemporaneo, oltre che su atmosfere di luce e proiettive, si basano su dinamiche di apertura/chiusura, principalmente affidate allo scorrimento bidirezionale dell’intera superficie anteriore. La traslazione del grande pannello realizza una sorta di diaframma ottico/meccanico che coniuga agli svelamenti degli interni domestici della struttura, una scomposizione del piano di profondità dell’intero spazio scenico, favorendo una possibile declinazione dei quadri drammaturgici della scrittura testuale in una logica cinematografica, tra campi lunghi, piani intermedi e primi piani. Complice di questo ingranaggio spaziale, un’unica altra superficie scorrevole sul fondo dello spazio: una rete metallica a trama fitta, barriera tragicamente concreta e allusiva a frontiere chiuse di Stati e centri di accoglienza migranti, davanti e dietro alla quale prendono corpo e parola le situazioni, ambientate dal testo, nella Comunità".


Voto 8 

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