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  19/04/2024 - 23:05

 

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Scanner - live
 


Flavia Mastrella e Antonio Rezza
Bahamut
con Antonio Rezza e Armando Novara, Daniele Bernicchia, allestimento scenico Flavia Rastrella, collaborazione alla regia e all’ispirazione Massimo Cavilli, disegno luci Maria Pastore, regia Flavia Mastrella e Antonio Rezza, prodotto da CRT Artificio Milano
Al Teatro Puccini Firenze il 22 e 23 marzo 2007

 




                     di Tommaso Chimenti


Chi ha i biglietti in prima fila si sposta sommessamente, testa china a guardarsi i piedi nascondendo il tagliando, all’indietro come un gambero nel fango di Mont Saint Michel. Il pubblico, mezza vuota la sala del Puccini, teme Antonio Rezza, questa è la sua forza come i vecchi comandanti di navi, tanto amati quanto odiati. Siamo dentro un gioco al massacro, una performance che ha tremendamente bisogno e trae ossigeno dalla platea: senza non esisterebbe al di là della mitomania del capopopolo dal palco che inneggia vorticosamente a se stesso. Si ha l’impressione che il pubblico sia lì davanti in adorazione ad idolatrarlo soltanto per un deficit di autostima, pagando, come con una prostituta o con l’analista (Woody Allen sarebbe d’accordo), nel tentativo di colmare il gap, il nervo scoperto, e riuscendo soltanto nel tentativo opposto di affossarsi ed annegare, consapevolmente e colpevolmente, nel magma dell’ignoranza presunta e accertata. Siamo davanti ad un artista che ha fatto della propria vita un’opera d’arte? Se si tanto di cappello. Ma stupisce sempre il finale degli spettacoli di Rezza con salti continui da Diavolo della Tasmania, ballerino di flamenco, come a schiacciare le formiche presenti sulle poltrone vellutate urlando soltanto “Io”, con le braccia al cielo come Cristo brasileiro, con i pugni in alto come campione di Formula Uno sul podio. Autoacclamato, eccessivo, invadente, autoreferenziale. Cinque lunghi minuti di applausi senza il classico sipario che si apre e si chiude. Rezza chiede, e ottiene e pretende e costringe con autorità, una perenne conferma con sonori battimano. China la testa, ma mai inchina, come a sottolineare che l’applauso è l’unica cosa che viene concessa al pubblico per essere, per esistere, gente misera e meschina che è arrivata fin lì, pagando addirittura, per sentirsi meno, sotto al palco, inferiori davanti al Re, al Dio dei palcoscenici. Lo schema rimane enigmatico teso ad una facile non comprensione, ad una comunicazione smozzicata volta a sottolineare l’imprescindibilità e l’essenza del one man show. “Rivuole i soldi indietro signora?”, sempre arrogante e duro e inflessibile con faccia da Totò, profilo greco dantesco, mento volitivo da Dux, cespuglio alla Caparezza. “Nei diciotto euro non era compresa la comprensione, se voleva capire doveva pagare molto di più”. E’ Rezza il “Bahamut” che dà il titolo all’ultima prova? Bahamut era un pesce colossale della cosmologia musulmana, una creatura di nobili origini, una divinità. Quasi da balcone imperiale con le mani sui fianchi. Provocatorio nel suo quadrato di stracci e teli con il classico buco centrale (da “Coriandoli” in poi il suo geniale marchio di fabbrica), lembi di tessuto da nascondere con un cucù. Dal foro, a metà tra il preistorico ed il futurista, viene espulso, come dall’Eden, partorito ma storpio, paralizzato, menomato, malato terminale immobile ed immobilizzato, “in ginocchio, ma mai di fronte a Dio”. Ora è un nano, sempre e comunque politicamente scorretto, ora una donna incinta tentennante sull’aborto, “mai più spargimenti di sangue, neanche in quei giorni lì”. La potenza del testo sono proprio i salti logico- culturali che da un lato straziano e stancano la vista e dall’altro stimolano.

Voto 8 

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