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Giampiero Mughini
La mia generazione
Le idee, i personaggi, i sogni di una casa in Trinità dei Pellegrini
Mondadori, Milano, 2002, pag 175

 




                     di Giacomo Aloigi


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Non è facile, per il modesto recensore di cui state cortesemente leggendo le parole, scrivere dell'ultimo libro di Giampiero Mughini. Non lo è dopo aver letto alcuni eccellenti articoli dedicati a "La mia generazione" apparsi nei giorni scorsi su quotidiani e periodici di larghissima diffusione. Cito per tutti lo straordinario pezzo di Pietrangelo Buttafuoco pubblicato su Il Giornale del 23 febbraio. Come non è facile riuscire a trasmettere tutto ciò è contenuto - ed ancor più evocato - nelle pagine di quello che si presenta come una sorta di diario sentimentale, estetico ed intellettuale di un Uomo che ha "agito" la propria vita, che ne ha accettato e cercato le sfide, alcune sbagliate, alcune perse. Ma senza mai rinnegare niente, scontando sulla propria pelle e, almeno in una certa fase, sulla propria sfera professionale, distacchi, politici ed umani, e revirement ideologici.

Trinità dei Pellegrini che lui ha abitato per circa trent'anni, da quando, nel gennaio del 1970, giunse nella capitale "con seimila lire in tasca" e "con accanto una bella ragazza diciannovenne che, certo sopravvalutandomi, aveva scelto di dividere le rose e le spine." L'universo femminile, tanto caro allo scrittore siciliano, viene immediatamente introdotto e sottolineato, e come un file rouge ci conduce attraverso le cento settanta pagine del libro. Sono molte le donne che si sono mosse per le stanze di quella casa "museo", non necessariamente amanti o fidanzate. E, sopra tutte, la madre, che ogni tanto lasciava Catania dove viveva sola dal 1978 e veniva a Roma ad occupare la piccola stanza degli ospiti. La sua morte, a cui è dedicato il capitolo più toccante del libro, ha segnato per Mughini come una cesura, la fine di un periodo della sua vita e l'inizio, per sua stessa ammissione, di un altro, quello finale (che auguriamo il più lungo possibile!). Ma il palcoscenico intimo, domestico, sarà un altro. La poltrona rosso e blu di Rietveld, il divano scarlatto "Maralunga" di Vico Magistretti, la ringhierina in ferro battuto di Alessandro Mazzucotelli, i libri, gli amatissimi e pregiatissimi libri, traslocheranno, troveranno altrove una loro collocazione. E questo, ci permettiamo di anticipare al Nostro Giampiero, li renderà comunque diversi, "altri" rispetto a come apparivano ("erano" ?) a Trinità dei Pellegrini.

Voto 9 

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