Adesso i veri punk sono i ragazzi che mettono la loro musica
su internet senza fregarsene se saranno solo in venti ad ascoltarla. dice
Patti Smith. E lo dice come se fosse una cosa buona.
E’ vero che grazie ad internet sono giunti al successo
ottimi artisti che sarebbero rimasti altrimenti in
ombra, ma è pur vero che in internet i professionisti (o più semplicemente
quelli “bravi”) si trovano, in termini di mezzi per promuoversi, alla stregua
dei dilettanti.
Un esempio eclatante nel caleidoscopico mondo delle note si
può ritrovare navigando in MySpace.
MySpace è sostanzialmente un portale che offre una pagina dove inserire i
propri interessi, un profilo personale e un blog, ma
gran parte della fama del sito è dovuta all’uso che ne fanno i musicisti. Brani
e immagini non si trovano su uno spazio offerto dal portale stesso
ma si appoggiano ad altri siti.
Quello che invece c’è, è la possibilità di “add”,
vale a dire di aggiungere degli amici iscritti a loro volta a MySpace, creando
una sorta di rete di collegamenti tra le persone, la quale permette anche di
scambiarsi messaggi e commenti.
Il pubblico al quale si rivolge è in larga parte quello giovanile,
gli under 25, tanto da essere stato definito un punto di incontro
generazionale per una generazione che i suoi punti di incontro li brucia ad una
velocità da allucinazione, ma a voler controllare, abbiamo ben più di
un’eccezione che sfora il limite di età individuato dalle statistiche.
Secondo il WashingtonPost sono 90 milioni gli utenti di
MySpace, e viene davvero da chiedersi cosa abbia in più rispetto ad altri
spazi, questo portale creato dai californiani Anderson
e DeWolfe, acquistato recentemente da Rupert Murdoch (chi in quell’occasione l’aveva definito “ricco scemo” ha dovuto
ricredersi), e come abbia fatto ad imporsi con tanto carisma tanto da venir
indicato come il sesto sito più visitato della rete guadagnandosi persino una
cover story da parte della nota rivista finanziaria Business Week.
L’impressione iniziale è generalmente di confusione, lo spazio offerto
piuttosto striminzito e l’interfaccia ostica, oltre a questo handicap
di doversi riferire ad altri siti per posizionare i propri pezzi o le proprie
immagini. Difficile renderlo veramente personale, nonostante gli innumerevoli programmi di editino
ad-hoc, anche se oramai c’è da dire che la tendenza
pare essere orientata alla praticità più che all’estetica e la
caratterizzazione; pochi hanno voglia di impegnarsi nella realizzazione di un
vero e proprio sito internet, specialmente se l’impegno profuso nel realizzarlo
non è pari alla qualità del contenuto. Più comodo affidarsi a modelli standard
che si lasciano creare e aggiornare con facilità.
C’è chi già predice la morte di MySpace, soppiantato da
emuli più efficienti e minimizzando il suo successo a semplice moda, ma se di
una moda si tratta, bisogna riconoscere che ha superato di
gran lunga le PinkoBag:
dai Rolling Stones al mio vicino di
casa, chiunque possegga uno strumento musicale e degli amici con i quali
strimpellare si sente autorizzato a gridarlo a mondo.
E in questo caso, ci verrebbe da dire a Patti Smith, è
labile il confine tra punk e esibizionismo fine a sé
stesso.
Bisogna approcciarsi a MySpace
come ai blog, ovvero discernendo quelli seri, di
costruttiva polemica sociale alla Grillo,
di certi giornalisti in zone di guerra e nondimeno alcuni umoristici e
narrativi la cui validità è indiscutibile, da altri invece dove l’autore
narcisista si dilunga a parlare inutilmente e con autocompiacenza
della propria oziosa routine giornaliera. Per carità, a parte affollare non
fanno male a nessuno e poi non sono dei palazzi, uno può anche evitare di
guardarli.
A volte però può capitare di venir
assaliti dalla tristezza, e la tristezza che può capitare ci assalga navigando
tra le pagine di myspace è in dovuta sia allo
sconforto di vedere quanta gente con velleità musicali ci sia in giro (ma
quella c’è sempre stata solo non lo sapevamo) sia, dopo una valutazione
ottimista che ce li fa individuare tutti come “accomunati dallo stesso sogno” ,
il constatare che in realtà quasi a nessuno interessano veramente le canzoni
dell’altro, o almeno non quanto vorrebbe gli altri si interessassero alle
proprie: è un amicizia fatua, un do-ut-des dell’add. Infatti spesso, il sodalizio
comincia e termina con l’accettazione dell’amico, un “Grazie per l’add” in più che in fin dei conti serve solo a far
rimpicciolire la scrollbar.
Certo, a chi la musica piace veramente e svisceratamente troverà sicuramente
una miniera inesauribile da esplorare, ma c’è bisogno che sia
anche armato di buona pazienza per poter condurre un ascolto non superficiale e
non perdersi nel mare di scelte.
Gli artisti, quelli capaci, avranno dal canto loro delle possibilità in più di
essere notati e porre finalmente l’agognata firma al contratto con una casa
discografica, altrimenti toccherà anche a loro seguire i il
tortuoso iter che tanti grandi nomi prima di loro hanno dovuto percorrere.
Nella fortuna del resto, internet o non internet,
bisogna sempre sperare.
In fin dei conti MySpace deve essere preso per quello che è: non più uno
status, ancora meno una garanzia di qualità, ma una vetrina. Un’enorme,
democratica, vetrina.
Voto
7 ½