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  17/05/2024 - 04:06

 

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In my country
Regia di John Boorman
Cast: Samuel L. Jackson, Juliette Binoche, Brendan Gleeson; drammatico; Gran Bret./Sudafr.; 2003; C.

 




                     di Paolo Boschi


Il sarto di Panama
In my country


L’eclettico John Boorman è tornato dietro la macchina da presa per dirigere In my country, un film che rilegge il drammatico e catartico passaggio dall’Apartheid alla democrazia nel tormentato Sudafrica attraverso il duplice punto di vista di un afroamericano poco incline al perdono e di una sudafricana liberal oppressa dal senso di colpa per le ingiustizie perpetrate da sempre dalla sua gente alla maggioranza di colore. Il soggetto del suo ultimo film Boorman l’ha attinto da Country of my skull, un libro scritto dalla boera Antjie Krog, che ha seguito per tre anni i lavori della Commissione per la verità e la riconciliazione, un organismo di mediazione politica istituito da Nelson Mandela per consentire un confronto paritario tra oppressi ed oppressori – questi ultimi avrebbero avuto diritto all’amnistia a patto di confessare in dettaglio i propri crimini, dimostrando al contempo di aver eseguito ordini dalle alte sfere –. Il giornalista del “Washington Post” Langston Whitfield viene mandato dal proprio direttore in Sudafrica a seguire le udienze della Commissione per la verità e la riconciliazione, dove conosce la poetessa afrikaans Anna Malan, inviata per conto di una radio locale: l’inizio tra i due è burrascoso e pieno di attriti, perché Whitfield ha una spiccata tendenza alla critica ed è scettico riguardo all’efficacia del processo di rappacificazione tra bianchi oppressori e neri oppressi. Anna Malan al contrario crede fermamente nell’Ubuntu, il principio ispiratore della Commissione, basato sul ruolo etico della collettività: dato che ognuno è legato al suo prossimo e le azioni moralmente riprovevoli finiscono per colpire tutti i propri simili, per raggiungere la pace diventa fondamentale porre criminali pentiti e vittime disposte al perdono gli uni di fronte agli altri. Un nobile principio, almeno in teoria; in realtà le commoventi testimonianze che In my country ricostruisce ne condensano le effettive applicazioni in ogni possibile sfumatura: dal torturatore nazionale, il sadico Colonnello De Jaeger, che confessa spavaldo crimini inenarrabili al solo scopo di farla franca, fino all’umile sottoposto che non riesce più a sopportare lo sguardo tacito di un piccolo spettatore dell’assassinio dei propri genitori. Durante le udienze Anna e Langston imparano a conoscersi: le molteplici varietà di dolore e perdono che passano sotto i loro occhi spingono l’una nelle braccia dell’altro in una relazione adulterina a tempo determinato. Ottima la scelta narrativa di frammentare ed intercalare sotto forma di vari flashbacks al plot principale l’intervista di Whitfield al truce Colonnello De Jaeger (interpretato da un sempre ispirato Brendan Gleeson), il cui sadismo viene amplificato ad libitum a confronto con i mille drammi ordinari ricostruiti nell’infinita galleria delle udienze della Commissione. Un ottimo film nel complesso: sincero, tormentato, a tratti commovente ma sempre in equilibrio sull’esile linea di confine che divide la retorica dal racconto di denuncia. Contrappuntato da un’ininterrotta catena di suggestivi inni indigeni – ideali per accompagnare (e sublimare con la loro insostenibile malinconia) i riti di catarsi collettiva voluti da Mandela –, In my country regala una lezione civile che non si dimentica, presentando in continuazione schegge di dura realtà difficili da metabolizzare: lo stesso finale è emblematico di quanto sia arduo, talvolta impossibile, scendere a patti col razzismo o comprendere il muro d’omertà che ha circondato per anni l’Apartheid. Imperdibile.

In my country - Country of my skull, regia di John Boorman, con Samuel L. Jackson, Juliette Binoche, Brendan Gleeson; drammatico; Gran Bret./Sudafr.; 2003; C.; dur. 1h e 40'

Voto 7/8 

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