“La giustizia militare sta alla giustizia come la musica militare sta alla musica, non so se mi spiego”: è l’efficace paragone imbastito da Charlie Grimes, vecchio marpione di tribunali militari, per spiegare all’avvenente avvocatessa in carriera Claire Kubik quanto sarà dura difendere il maritino Tom dall’accusa relativa ad un’abominevole strage, teoricamente commessa ai tempi in cui si chiamava Ron e militava nell’esercito americano da marine specializzato in missioni segrete. High Crimes - Crimini di stato di Carl Franklin, regista afroamericano già autore del notevole Il diavolo in blu, prende avvio con la dissoluzione di un locus amoenus familiare in perfetto stile american dream: un’avvocatessa rampante, un restauratore di successo, una bella villetta nella periferia residenziale, l’immancabile bimbo in cantiere a completare l’impeccabile quadretto, frantumato da un’inattesa rivelazione sull’oscuro passato del gentil consorte. Naturalmente la protagonista non mette minimamente in discussione la buona fede di Tom alias Ron, abbracciando subito la tesi del complotto ordito dalle alte sfere e lasciando d’un fiato studio e carriera per organizzare la difesa del marito: per compensare le sue lacune legali ‘militari’ sarà arruolato nel gruppo appunto Grimes, avvocato di colore ed ex marine col vizio della bottiglia, oltre ad un novellino del foro militare ed alla disinibita sorella Jackie. Paradossalmente, mentre l’ipotesi di complotto al centro di High Crimes prende sempre più corpo, dentro Claire cominciano ad affiorare non pochi dubbi sull’innocenza calpestata del marito, puntualmente affogati nei buoni sentimenti: l’happy ending obbligato è però uno specchio per le allodole che prelude ad una brusca sterzata narrativa nel finale. In questo tranquillo thriller giudiziario – marcato da un ritmo spesso blando e privo di grandi sussulti – si ricostituisce la coppia al centro de Il collezionista e la Judd itera per certi versi la sua parte di coniuge di un uomo dalla doppia vita, come accadeva appunto in Colpevole d’innocenza. Pellicola non imperdibile, eccettuando la solita performance di Morgan Freeman.

Voto 6