Bowling for Columbine
Fahrenheit 9/11
Sicko
Capitalism: A Love Story
Con
Bowling for Columbine
Michael Moore aveva riportato alla Croisette il primo documentario in corcorso
al Festival di Cannes da decadi e s’era aggiudicato un Oscar, con Fahrenheit
9/11 il corpulento regista americano ha battuto ancora la strada del suo genere
privilegiato alzando il tiro (politico) della propria denuncia: ed ha fatto
centro vincendo una discussa ma meritatissima Palma d’Oro, felice occorrenza
che gli ha consentito di superare il blocco imposto dalla Disney alla
distribuzione della controversa pellicola. Per Fahrenheit 9/11 di caso si può
parlare, per quanto di tratti di uno scandalo al sole, consumato sotto gli
occhi dell’opinione pubblica, o almeno di chi si sforza di trovare la verità,
anche se dichiaratamente di parte, come Michael Moore appunto: il massiccio
cineasta di Flint stavolta appunta il suo pollice esplicitamente contro
l’amministrazione Bush, teorizzando che la guerra al terrorismo organizzata
dopo l’attentato alle Twin Towers – divenuta in breve colonna portante della
politica estera degli Stati Uniti e sostenuta da un’atmosfera di terrore
mantenuta ad arte dal governo – non sia stata che la giustificazione di comodo
di una lobby di petrolieri e fabbricanti d’armi per impadronirsi delle
appetibili riserve irachene di oro nero. Michael
Moore parte in quarta presentandoci il vacanziero Bush Jr. sottoposto al
trucco – ma capace di abbozzare incredibilmente una smorfia di sorriso – prima
di rivolgersi alla nazione per avvisarla della tragedia in atto a New York. A
ruota il pingue documentarista americano ci mostra anche la fulminante e
famigerata tragedia delle torri gemelle, ma da un’atipica prospettiva acustica,
senza le abusate immagini proiettati dalle televisioni di tutto il mondo,
presentandoci uno schermo nero punteggiato dalle sirene dei mezzi di soccorso e
dalle grida della gente sconvolta davanti al crollo del World Trade Center.
Quindi arriva un filmato amatoriale che rivela come il presidente Bush fosse
stato tempestivamente informato dell’accaduto nel corso di una visita ad una
scuola elementare della Florida e, senza scomporsi affatto, avesse continuato
secondo programma a leggere fiabe in compagnia dei piccoli studenti, fino alle
foto di rito con la classe. Moore si
chiede con enfasi cosa stesse passando per la testa del presidente in cui
momenti che avevano paralizzato un’intera nazione: poi parte senza soluzione di
continuità con la sua scoppiettante disamina di circostanze indiziarie. Il
serratissimo blob di Fahrenheit 9/11 si assapora tutto d’un fiato ed in
seguito si fatica non poco a digerire la mole di dati, interviste, personaggi e
rivelazioni che si susseguono sequenza dopo sequenza: prove schiaccianti non ce
ne sono, ma dal film emerge un
quadro complessivo davvero inquietante. Pare strano che l’allarme terrostico
lanciato dalla precedente amministrazione Clinton verso al Qaeda e Osama bin
Laden fosse stato lasciato cadere dal successore Bush Jr. Strano pure che il
padre del futuro presidente fosse legato a doppio filo, ormai da anni, con la
famiglia del noto terrorista islamico. Ed è anche strano, nonostante
all’indomani dell’attentato negli Usa il traffico aereo fosse stato congelato,
che ad alcuni aerei fosse concesso di decollare alla volta del Medio Oriente
con oltre venti parenti di bin Laden a bordo a poche ore dalla tragedia. Moore
ci spiega inoltre come, subito dopo l’11 settembre 2001, l’amministrazione Bush
stimolasse servizi segreti e mass media a vociferare (e produrre prove)
sulla fantomatica esistenza della bomba atomica irachena e sugli inconsistenti
intrecci tra al Qaeda e Bagdad. L’altra faccia di Fahrenheit 9/11 è
patriottica ed emotiva: per amplificare ad libitum l’effetto del suo
pirotecnico pamphlet anti-Bush, Michael Moore ci mostra anche coloro che
per primi sono rimasti impigliati nella fitta maglia di bugie del governo
americano post 11 settembre, quei soldati (e per contrasto i loro familiari)
reclutati col miraggio di un sicuro posto di lavoro nell’esercito, partiti per
difendere un sogno di democrazia che non c’era, rischiando la pelle nel tentativo
– la notizia dei quattro giorni di salario trattenuti dalla busta paga di un
milite caduto in Iraq in effetti indigna e fa raggelare il sangue... –.
L’efficacia satirica di Moore coglie nel segno anche stavolta e promette
corposi risvolti politici: il film si propone infatti di stimolare il popolo
degli indecisi americani ad andare alle urne il prossimo novembre per votare in
massa contro il presidente uscente. Imperdibile.
Fahrenheit 9/11, regia di Michael Moore, con Michael Moore; documentario; Usa; 2004; C.; dur. 1h e 55'
Voto
8½