Il collezionista
Don't say a word
Non
c’è dubbio alcuno che Don’t say a
word sia un thriller complesso ed eterogeneo come se ne sono
visti pochi negli ultimi tempi, magari soltanto un prodotto d’intrattenimento,
ma allestito con molta classe, gusto per le citazioni ed un’indubbia efficacia
registica, con molte sequenze notturne davvero suggestive. Protagonista della
storia, classico uomo di tutti i giorni costretto giocoforza a diventare eroe,
è un interprete del livello di Michael Douglas, che
in carriera ha mostrato di trovarsi a suo agio con simile tipologia di
personaggi (The game l’ultimo esempio). A parte la suspense ed il
ritmo, ingredienti indispensabili di ogni thriller che si rispetti, in Don’t
say a word l’elemento che spicca di più è il senso di profonda coesione tra
le varie sottotrame, frutto dell’ottimo lavoro svolto in cabina di
sceneggiatura da Anthony Peckam e Patrick Smith Kelly sulla fonte letteraria
del film, ovvero l’omonimo romanzo di Andrew Klavan. La
storia prende avvio con un prologo che presenta l’audace (ed adrenalitica)
rapina di un gruppo di ladri professionisti: il furto va a segno, ma il bottino
(una pietra preziosa d’immenso valore) viene involato con un trucco da due
compari che in breve si danno alla macchia. Dieci anni dopo l’affermato
psicologo newyorchese Nathan Conrad
sta recandosi a casa per passare il giorno del Ringraziamento con la famiglia,
per strada si ferma alla clinica di un collega che ha chiesto il suo giudizio
sul difficile caso di Elisabeth, una ragazza quasi catatonica per un trauma
subito nell’infanzia. Liquidato in modo ermetico dalla giovane paziente,
l’indomani il Dott. Conrad si vedrà costretto a sondare la sua mente alla
ricerca di un numero a sei cifre: è il prezzo del riscatto richiesto da coloro
che gli hanno rapito la figlia di otto anni e che gli hanno messo la casa sotto
controllo. Di qui in poi la
storia procederà alternandosi su diversi binari: la stanza
dell’appartamento in cui la moglie di Conrad è immobilizzata con una gamba
rotta (stile La finestra sul cortile), Conrad impegnato a scandagliare
la psiche di Elisabeth con poche ore a disposizione, una bella poliziotta che
sta risalendo lungo la scia di vittime
dei criminali in cerca del tesoro nascosto. Inutile dire che tutti i
fili si riuniranno nel teso finale, d’ambientazione notturna e sepolcrale. Don’t
say a word è un thriller
davvero efficace, ottimamente congegnato ed interpretato da un cast in
forma, caratteristi compresi.
Don't say a word, regia di Gary Fleder, con Michael Douglas, Famke Janssen, Sean Bean, Brittany Murphy, Jennifer Esposito, Oliver Platt; thriller; Usa; 2001; C.; dur. 1h e 54'
Voto
7½