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  18/04/2024 - 12:51

 

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Centro RAT
Un vajtim arbėresh
Recensione della Medea di Euripide in lingua arbėreshe. Regia di Francesco Suriano, produzione in collaborazione con Teatri del Sud, riduzione e adattamento di Nando Pace e Francesco Suriano, costumi di Dora Ricca. Con Riccardo Baffa, Vicky Macrģ, Francesco Mazza, Nando Pace, Lello Pagliaro, Adriana Ponte
In prima nazionale 18 e 19 gennaio 2008 al Teatro Studio di Scandicci

 




                     di Giovanni Ballerini


Un vajtim arbėresh, regia di Francesco Suriano, 2008, presentazione
Un vajtim arbėresh, regia di Francesco Suriano, 2008, recensione


Il canto come specchio dell’anima, il canto per ritrovare nell’emozione corale le proprie radici. Il canto, ideale depositario dell’identitą arbėresh, č protagonista e mezzo di espressione della diaspora albanese in Un vajtim arbėresh, il toccante spettacolo per la regia di Francesco Suriano, prodotto dal Teatro Stabile d’Innovazione della Calabria Centro RAT in collaborazione con Teatri del Sud, che (in un primo allestimento) č stato presentato nell’estate 2007 nei teatri antichi della Calabria per il Magna Grecia Teatro Festival e il 18 e 19 gennaio 2008 č andato in scena in prima nazionale al Teatro Studio di Scandicci.

I sei attori – cantanti in scena hanno interpretato con poesia ed energia una Medea atipica, emozionante e contemporanea, una sorta di percorso iniziatico, che riflette e vanta con fierezza e pił di un pizzico di nostalgia la propria identitą albanese e bizantina. La lingua arbėreshe, che della lingua albanese attuale č progenitrice, si trasforma in una melodia recitata e cantata che accarezza e seduce lo spettatore, invitandolo a immedesimarsi per un’ora di spettacolo nei valori e nella cultura di un popolo che si stabilģ in varie regioni del sud Italia (Calabria, Abruzzo, Basilicata, Sicilia, Molise, Campania e Puglia) tra il XV e il XVIII secolo, integrandosi con i locali, ma mantenendo la sua identitą. Oggi che le nuove generazioni comprendono, ma difficilmente parlano l’arbėresh, nasce questo spettacolo che rivendica questa lingua - patria.
I sei attori in scena la riportano in vita nelle sue diverse declinazioni (ogni paese abitato dalla comunitą italo - arbėresh ha le sue intonazioni), ripulendola delle inflessioni moderne e dialettali, come fece Dante per il volgare. In sintonia con la lezione di Girolamo De Rada (Macchia Albanese 1814 – San Demetrio Corone 1903), poeta vate della letteratura albanese.

Il risultato č uno spettacolo senza sottotitoli, in cui la sacralitą e la poesia dei cori vjersh colorano di morbida intensitą i sentimenti, esprimono con cadenze e tonalitą cangianti l’esprit atavica di una popolazione che rivendica la propria storia, il ricordo della sua terra natia (due sacchi di terra caratterizzano con poesia lo spazio scenico). Uno spettacolo di non immediata comprensione (lo scoglio di una recitazione in lingua originale non č semplice da superare), che riesce comunque a colpire al cuore (e a far riflettere) lo spettatore, anche grazie al continuo e fluente contrappunto cantato.

Niente musica: l’idea iniziale di dare spazio agli strumenti originali della tradizione greca, albanese e macedone come gli strumenti a percussione dałli e daģr e gli strumenti a corda buzuki e ciftelģa č stata abbandonata per dare ancora pił spessore e capacitą evocativa ai canti a cappella dei protagonisti. Alcuni degli attori in scena fanno parte del gruppo Zjarri I Ri, che potremmo tradurre in italiano come Fuoco nuovo, un nome che esprime anche semanticamente la rinnovata volontą di questi musicisti – cantanti – attori di rivendicare le origini culturali. Con gioia e determinazione. Lo dimostra il fervere dei canti (fino a notte tarda) anche dopo lo spettacolo, l’emozione autentica con cui ogni interprete di Un vajtim arbėresh ha calcato la ribalta, il senso di complicitą che, alla fine della piece, ha invaso l’immaginario di ogni spettatore che ha avuto la fortuna di assistere al canto libero di questa etnia in bilico fra la diaspora del passato e le sfide del presente, fra la nostalgia dei propri luoghi natii e un’identitą culturale in evoluzione.

Voto 8 

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