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  25/04/2024 - 12:09

 

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Signorine
Regia e coreografia Virgilio Sieni
Interpreti Ramona Caia e Claire Indaburu, musica Francesco Giomi, luci Virgilio Sieni, costumi Giulia Pecorari, produzione Compagnia Virgilio Sieni, CANGO Cantieri Goldonetta Firenze
Visto a Cango il 31 ottobre 2010-11-01 in occasione dell’Oltrarno Festival Atelier, tratto da “Mal visto mal detto” (1981), “Respiro” (1968), e al cortometraggio “Film” (1963) di Samuel Beckett

 




                     di Tommaso Chimenti


"Non sono una signora, una con tutte stelle nella vita. Non sono una signora, ma una per cui la guerra non è mai finita" (Loredana Bertè, “Non sono una signora”).

Un cigno nero ed uno bianco stramazzano, senza starnazzare, nel recinto, cortile, aia o stagno a loro concesso. Lo passano palmo a palmo. Il quadrato a terra disegnato sa di ring, di Dogville. Nessuno uscirà vivo da qui. Nessuno busserà a salvarle. Una fiaba noir, inquietante come un coniglio-cane fedele carrolliano, una sorta di Barbablù, ma senza l’orco. Le due danzatrici, complici e solidali, sempre di spalle, le facce nascoste dalle mani, di vergogna, di pianto, d’offesa, come un burka, un velo, un hijab. Facce che, una volta mostrate, hanno le tinte e le pennellate del clown con il sorrisone e il naso rossi e gli occhi lacrimevoli pierrottiani: pagliacci commoventi (e qui sarebbe un bellissimo finale). Non c’è gioia, non c’è allegria. Allergia al luogo, quella si. Sono schiacciate a terra queste due donne che sono e rimangono Signorine, come a dire zitelle. O perché in lutto o perché volevano, vorrebbero, avrebbero voluto, convolare a nozze. Prima si aggiungeva anche l’aggettivo “giuste”, che completava quello che sarebbe stato “il giorno più bello della vita”. Perché dopo sarebbero cominciati i dolori. Il loro scenario è fatto di una bacinella, l’orizzonte è una pentola. L’unica solidità è un mobiletto, un piccolo armadio tronfio nelle sue ante bombate come pettorali villosi, dove rifugiarsi dentro, come bambini a nascondino, il ripostiglio oscuro per sfuggire alle ombre che si ammantano ed ammassano reali. Dell’uomo, legnoso, nessuna traccia ma è presente e pungente nei lamenti, quasi di balena, di delfino o per giunta da sirena, in audio, continuo e straziante. Che in famiglia si celano gli assassini delle donne, che la casa, il focolare domestico è il luogo meno sicuro per casalinghe, compagne, madri, mogli, amanti. Un mobiletto che diventa bara e tomba nel vessillo nero. Del maschio ecco un catino, blu non per sbaglio, parato come portiere di calcio in un olè trafugato e trangugiato in gola. Rimangono imprigionate al pavimento, tentano di alzarsi ma una forza le tiene basse, impigliate alla rete che si sono costruite addosso. Battono con le mani il suolo come wrestler, ma dall’altra parte non c’è nessuno disposto a dare loro il cambio, ad accollarsi il peso di quel vuoto, a soppesare mobilie e spazi ben precisi. Sono quadri in dissolvenza e l’ironia è bandita. Neanche un accenno a figli, pargoli o bambini: i sogni e le ambizioni sono scaduti. L’esterno di campane domenicali incute timore e spinge ancor più dentro le amate-odiate stanze, come rifugio conosciuto ma né caldo né tanto meno accogliente. L’unica ribellione è un “j’accuse”, un “Io so i nomi dei responsabili” pasoliniano, un “Così non va” che sa di presa di coscienza, ma non ancora della Bastiglia, forse solamente della pastiglia antidepressiva. Sono manichini senza sartoria, burattini senza fili che fanno rumore per attirare l’attenzione nella loro immensa solitudine, impaurite dai chiavistelli, dalle porte che si chiudono e sbattono. Per dare e ricevere amore basta un miagolio di gatto a compensare mancanze ed attenzioni negate, non ricevute, represse. Ma le donne, le signorine, non sono soltanto tali: sono equilibriste da canzoni di De Gregori, trapeziste felliniane da circo.

Voto 8 

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