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Short Time 2012
Prima edizione dell’innovativo contest
Vince la competizione - vetrina di giovani coreografi Duo II di Paolo Mohovich, che curerà una coreografia per Maggiodanza nel 2013
Segnalate le coreografie di Paolo Arcangeli, Leone Barilli, Michele Merola, Enrico Morelli

 




                     di Giovanni Ballerini


Si è conclusa la prima edizione di Short Time, la prima piattaforma di giovani coreografi, un contest innovativo, creato da Maggio Musicale Fiorentino, che ha visto in lizza in quattro serate di spettacolo (dal 10 al 16 marzo 2012) allestite al Teatro Goldoni di Firenze, nuove creazioni per MaggioDanza. I dieci coreografi invitati (Arianna Benedetti, Alessandro Bigonzetti, Michele Merola, Paolo Mohovich, Enrico Morelli, Stefania Pigato, Annalì Rainoldi, ai quali si sono aggiunti Paolo Arcangeli, Leone Barilli e Margherita Mana, ballerini impegnati nella compagnia MaggioDanza) hanno proposto dieci coreografie, nei dieci minuti di esibizione (tempo massimo che il contest assegnava loro) hanno concentrato il primo esito di una propria ricerca artistica, e delle proprie specifiche diversità e capacità. Concluso l’esame dei lavori dei candidati, la giuria presieduta da Francesco Ventriglia ha deciso all’unanimità di premiare il brano di Paolo Mohovich, Duo II, con musiche di John Adams, interpretate dai ballerini Zaloa Fabbrini, Linda Messina, Alessandro Cascioli, Zhani Lukaj.
Sono state inoltre segnalate le coreografie di Paolo Arcangeli, Leone Barilli, Michele Merola, Enrico Morelli.
Ma sentiamo al vincitore,Paolo Mohovich, che curerà una coreografia per Maggiodanza nel 2013.
"Ho sempre curato con attenzione la teatralità di ogni mio pezzo”, precisa Mohovich, “ma Duo II, che ho espressamente rivisto per MaggioDanza, è uno dei miei lavori nei quali più mi riconosco. Sono sempre stato molto attratto dalla danza astratta, e adoro la musica di John Adams, un compositore americano contemporaneo, sulla quale il brano è costruito. Adams usa spesso le sonorità tipiche del suo paese, i grandi colossal hollywoodiani, la pubblicità, o l’immensità degli spazi. L’ispirazione musicale di partenza in lui non è mai fine a se stessa, ma segnala sempre atmosfere diverse, concetti che servono da supporto all’azione. In questo caso la partitura, Christian zeal and activity, suggerisce un’atmosfera piena di un cupo lirismo, avvolta in oscuri presagi. Il suono dei violini è quasi ferito dalla voce martellante di un predicatore protestante, che pronuncia parole ispirate ai sentimenti dell’America più profonda, quelle parti del paese in cui la religione è un elemento dominante e ricorrente. Sono frasi continuamente ribadite, e si ha l’impressione che, durante i due passi a due, le coppie ascoltino il vaniloquio, ispirato a passi del Vangelo, e reagiscano diversamente ad esso. La tensione provocata dalla voce declamante riempie e condiziona i movimenti: nel primo caso la danza sembra a tratti ‘ribellarsi’, nel secondo la partecipazione ha in sé una forma di spiritualità. Duo II diventa quindi il manifesto di come una danza astratta, ed estremamente lineare, possa diventare in realtà narrativa in ogni suo gesto”.
"La danza pura, basata sul movimento, considerato non come un fine in se stesso”, prosegue Mohovich, “esprime al meglio la dinamica del corpo, raccoglie e racconta l’interiorità di ogni gesto, definisce delle situazioni senza renderle con tutta evidenza, propone momenti ed emozioni che lo spettatore, con il suo stato d’animo, assorbe e fa sue. Considero la danza come poesia del movimento. Per questo è importante, ed io la richiedo sempre, la piena comprensione da parte degli interpreti. Collezionare una sequenza di passi su una bella musica, a mo’ di divertissement, non è interessante. Lo è, invece, se il corpo, attraverso dinamiche diverse, di velocità e tensione del movimento nello spazio, riesce a dar vita e a plasmare dei sentimenti. Non sono il solo, tra i coreografi contemporanei, a vedere le cose in questa prospettiva. Io avverto il preciso bisogno di tornare alla danza pura, con la ricerca di modi espressivi che puntino direttamente alla danza, che dovrebbe essere solo quello. Non si tratta, semplicemente, di una dimensione estetica. L’interesse per ciò che va oltre la dimensione narrativa ha in sé il fascino di ciò che le parole non bastano a definire. Mi piacciono i balletti narrativi, ma trovo che rimangano sempre un po’ sulla superficie di ciò che può essere espresso; a meno che gli interpreti abbiano una caratura eccezionale. In quel caso l’emozione raggiunge il pubblico. In ogni caso, è l’idea in sé che a me sembra meno interessante rispetto al cercare di comunicare qualcosa attraverso i muscoli, le articolazioni, il movimento. Il corpo umano, sintesi di membra, mente e animo, è talmente meraviglioso che possiamo considerarlo alla pari di uno strumento musicale: non ha sempre bisogno di raccontare delle storie, basta a se stesso per esprimere musicalità, armonia, bellezza. Abbiamo alle spalle anni, decenni, nei quali la danza si è mescolata ad esperienze, artistiche e non, di ogni genere: dal teatro all’architettura, dalle arti visive al paesaggio. Oggi mi sembra interessante e giusto considerare che, dopo aver sperimentato di tutto, si torni a considerare e rivalutare la danza intesa come ricerca di forme compiute ed espressive in sé. Penso che possiamo riportare il corpo al centro di tutto, possiamo ripartire da una base di tecnica accademica, con un uso coerente e ben definito di linee e punte, e, a partire da queste premesse, possiamo creare una danza del tutto rinnovata”.

Voto 8 

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