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Motus
Rumore rosa
Un lavoro ispirato a Lacrime amare di Petra Von Kant di Rainer Werner Fassbinder. Regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, con Silvia Calderoni, Nicoletta Fabbri, Emanuela Villagrossi, con la collaborazione di Dany Greggio, illustrazioni e animazioni Filippo Letizi, visual compositing p-bart.com, abiti Ennio Capasa per Costume National
20 e 21 gennaio 2007 al Teatro Studio di Scandicci

 




                     di Giovanni Ballerini


Teatro Studio di Scandicci, Diversamente Parlando, stagione 2007
Scena Verticale, Dissonorata, 2007
Motus, Rumore rosa, 2007
Studio Su Medea, regia di Antonio Latella, 2007, presentazione
Studio Su Medea, regia di Antonio Latella, 2007, recensione
Gogmagog & The Playground, The Restaurant of Many Orders, 2007, presentazione
Gogmagog & The Playground, Ristorante dai tanti ordini, 2007, recensione
Giampiero Cicciò, Giovanna d’Arco di Borgo vecchio, di Gianni Guardigli, 2007
Compagnia Krypton, Picchì mi guardi si tu si masculu, 2007
Egumteatro, L’omossessuale o la difficolta’ di esprimersi, 2006


Nel 1972 Rainer Werner Fassbinder, con Le lacrime amare di Petra von Kant, operò una trasposizione dal palcoscenico allo schermo di un suo testo teatrale, scritto e messo in scena dallo stesso Fassbinder nel 1971. I Motus fanno il contrario. O almeno con Rumore rosa, la loro ultima produzione, prendono spunto dal dodicesimo lungometraggio fassbinderiano per illuminare alla loro maniera, con flash di ricerca intelligente, il palcoscenico contemporaneo. Come nella trama originale protagoniste sono tre donne sole legate da passione. Tre donne di età diverse che parlano - cantano d’amore e d’abbandono. Tre donne che tentano un’avventura nel bianco di una strada ghiacciata, nel candore di un salotto minimale, di uno studio di posa, in una camera da letto.

Come in un cartoon le prospettive che fanno da sfondo alla storia sono piatte, ma lo spettatore ci scivola irrimediabilmente dentro, lasciandosi ipnotizzare dalle scenografie visive, dalle zoomate cartoonistiche dei Motus. Il resto della scena si riduce a un'asettica pedana bianca su cui spiccano solo due piccoli giradischi e alcuni microfoni, e in questo spazio gelido, neutro le emozioni si stagliano come su un tavolo anatomico: lo scopo di Rumore rosa non è infatti di raccontare una storia più o meno esemplare, ma di enuclearne un nocciolo di sentimenti nudi e in qualche modo ancora sanguinanti, isolandoli, analizzandoli, sottoponendoli a una spietata dissezione.

Ciò che ne viene fuori è un'aguzza raffigurazione dell'amore come malattia, della solitudine come stato di alterazione patologica, dura, dolorosa quanto un pugno nello stomaco dello spettatore.

Ma allora perché rumore rosa? Perché in questo spettacolo femminile per una volta il rumore dei sentimenti si colora delle tonalità dell’altra parte del cielo e si specchia nelle frequenze artificiali che i tecnici del suono utilizzano per evidenziare la curva di equalizzazione ottimale (che per distinguerlo dal rumore bianco si chiama appunto rumore rosa). E in un claustrofobico racconto fatto di frasi registrate, urlate, sussurrate al telefono o solo evocate da gesti, la storia di Petra von Kant evapora, lasciando come traccia solo alcuni dialoghi, solo parole. E il rumore di queste parole rosa fa da sfondo e sostanza a una nuova storia. Che ognuno può leggere come vuole. Mentre le illustrazioni e le animazioni Filippo Letizi ti trasportano al centro del plot. O forse solo altrove.

Voto 7 ½ 

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