Teatro Studio di Scandicci, Diversamente Parlando, stagione 2007
Scena Verticale, Dissonorata, 2007
Motus, Rumore rosa, 2007
Studio Su Medea, regia di Antonio Latella, 2007, presentazione
Studio Su Medea, regia di Antonio Latella, 2007, recensione
Gogmagog & The Playground, The Restaurant of Many Orders, 2007, presentazione
Gogmagog & The Playground, Ristorante dai tanti ordini, 2007, recensione
Giampiero Cicciò, Giovanna d’Arco di Borgo vecchio, di Gianni Guardigli, 2007
Compagnia Krypton, Picchì mi guardi si tu si masculu, 2007
Egumteatro, L’omossessuale o la difficolta’ di esprimersi, 2006
Nel 1972 Rainer Werner
Fassbinder, con Le
lacrime amare di Petra von Kant, operò una trasposizione dal palcoscenico
allo schermo di un suo testo teatrale, scritto e messo in scena dallo stesso Fassbinder
nel 1971. I Motus fanno il contrario.
O almeno con Rumore rosa, la
loro ultima produzione,
prendono spunto dal dodicesimo lungometraggio fassbinderiano per illuminare alla
loro maniera, con flash di
ricerca intelligente, il palcoscenico contemporaneo. Come nella trama
originale protagoniste sono tre donne sole legate da passione. Tre donne
di età diverse che parlano - cantano d’amore e d’abbandono.
Tre donne che tentano un’avventura nel bianco di una strada
ghiacciata, nel candore di un salotto minimale, di uno studio di posa, in una
camera da letto.
Come
in un cartoon le prospettive che fanno da sfondo alla storia
sono piatte, ma lo spettatore ci scivola irrimediabilmente dentro, lasciandosi
ipnotizzare dalle scenografie visive, dalle zoomate cartoonistiche
dei Motus. Il resto della scena si riduce a
un'asettica pedana bianca su cui spiccano solo due piccoli giradischi e alcuni
microfoni, e in questo spazio gelido, neutro le emozioni si stagliano come su
un tavolo anatomico: lo scopo di Rumore rosa non è infatti di raccontare una
storia più o meno esemplare, ma di enuclearne un nocciolo di sentimenti nudi e
in qualche modo ancora sanguinanti, isolandoli, analizzandoli, sottoponendoli a
una spietata dissezione.
Ciò
che ne viene fuori è un'aguzza raffigurazione dell'amore come malattia, della
solitudine come stato di alterazione patologica, dura,
dolorosa quanto un pugno nello stomaco dello spettatore.
Ma allora perché rumore rosa? Perché in questo spettacolo
femminile per una volta il rumore dei sentimenti si colora delle tonalità
dell’altra parte del cielo e si specchia nelle frequenze artificiali che i
tecnici del suono utilizzano per evidenziare la
curva di equalizzazione ottimale (che per
distinguerlo dal rumore bianco si chiama appunto rumore rosa).
E in un claustrofobico racconto fatto di frasi registrate,
urlate, sussurrate al telefono o solo evocate da gesti, la storia di Petra von
Kant evapora, lasciando come traccia solo alcuni dialoghi, solo parole. E il
rumore di queste parole rosa fa da sfondo e sostanza a
una nuova storia. Che ognuno può leggere come vuole. Mentre le illustrazioni e le animazioni Filippo Letizi
ti trasportano al centro del plot. O forse solo
altrove.
Voto
7 ½