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  18/04/2024 - 23:11

 

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Scanner - live
 


Rita Maffei
L’arte e la maniera di abbordare il proprio capoufficio per chiedergli un aumento
Di George Perec, Regia: Alessandro Marinuzzi
Produzione CSS Teatro Stabile d’Innovazione del Friuli Venezia Giulia, al Teatro degli Astrusi per Montalcino Festival 2006

 




                     di Tommaso Chimenti


In momenti come quello attuale dove le parole “mobilità”, “flessibilità”, “precariato”, “mobbing” sono diventate più usate di pane e companatico, lo spettacolo grottesco, dal titolo wertmulleriano, “L’arte e la maniera di abbordare il proprio capo ufficio per chiedergli un aumento” di George Perec, testo degli anni ’60 ma purtroppo reale e contingente, cade a fagiolo. Ad un tavolone, come se anche gli spettatori fossero all’interno di un ipotetico consiglio d’amministrazione o stessero prendendo appunti ad un seminario, meeting o breafing ancora meglio, la manager in gessato, forse Armani, spiega, aiutata dalla classica lavagnetta illuminata con numeri e cifre e dati e parole in maiuscolo come se i candidati fossero o ciechi, forse accecati dal potere, o bambini delle elementari. Sul tavolo un po’ di tutto: matrioske, parole crociate, stilografiche, dadi, spiccioli, sirene dei pompieri, libri, un pallone da football americano, un pupazzo di Linus, tazze, giochi in scatola, le quaranta carte, un microscopio, telefoni, una macchina da scrivere, rubriche, un disco orario, un mappamondo formato mignon, un tamburo, bicchieri, confetti, guanti e altri mille oggetti sparsi. Tutti però servono per la narrazione, un’ora e quarantacinque a perdifiato, quasi un continuo scioglilingua labirintico della brava Rita Maffei senza sbavature con un testo così girotondino ed arzigogolato, e sono contrassegnati da etichette come l’archiviazione su un luogo del delitto. Ricorda un po’ la sit com “Camera Cafè”. Odore di call center. Organigramma e ironia caustica. La riflessione sul mondo del lavoro: uno zoo di squali, vipere, iene e avvoltoi. Il nostro impiegato modello, un po’ Fantozzi , un po’ Mister Bean, si adopererà in tutta la propria ineccepibile carriera, e vita perché l’azienda ti succhia l’anima, cercando lo stratagemma ideale per raggiungere il capo ufficio e spiegare le ragioni che lo hanno portato nei piani alti del grattacielo- organigramma- piramide- punta dell’iceberg per chiedere quello che ritiene un suo sacrosanto diritto: un minimo leggerissimo aumento- adeguamento dello stipendio mensile. Ogni lavorante è contrassegnato da una lettera, siamo tutti spersonalizzati, siamo numeri e non persone, facciamo volume, trattati senza umanità. Gerarchie da seguire, burocrazie interne alle quali sottostare in un sistema- regime, tutto vero purtroppo, che avvicina i liberi cittadini forniti di badge da strisciare più alla categoria dei sudditi che a quella degli stipendiati. La meritocrazia è stata licenziata. Non più dipendenti ma soltanto sottoposti. In tutti i sensi. Gli uomini sono pedine di una scacchiera fumosa, di un alveare a più tentacoli dove perdersi tra le scartoffie inutili del terziario. La frustrazione è l’unica merce di scambio dell’impiegato, la sua sfiducia, svogliatezza, delusione si ripercuote sul suo lavoro, svolto poco e male, sulla famiglia, diffondendo infelicità nella società moderna capitalista occidentale. Aspettando le ferie per arrabbiarsi in fila a Ferragosto andando tutti sulla stessa spiaggia affollata attendendo con ansia settembre per ricominciare a soffrire. Siamo uomini o caporali?

Voto 7 

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