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Riso Olimpico
Villa Fabbricotti Estate- Firenze
Dall'1 al 10 luglio 2005
Testo di Manuela Critelli, regia di Michele Andrei

 




                     di Tommaso Chimenti


Un cast d’eccezione. Per qualità attoriali sopraffine, per quantità a dir poco ronconiane.
Una festa che pare la cena de “La vita è bella”. Stesso periodo. Stesso Fascismo.
Ci sono i musicisti, c’è l’aristocrazia locale, i signorotti, il Poeta di corte, il parroco ed il chierichetto, le fanciulle danzatrici molto oche, i fidanzatini d’Italia.
C’è anche il Gerarca. Non manca nessuno. Anzi qualcuno manca. Il più importante. Tra i tavoli serpeggia ironia e divertimento come nelle movenze del cameriere siciliano. Caos, confusione ed attesa sono il pane del cerimoniere Francesco Mancini che svolge alla perfezione il suo compito di maitresse al maschile di questa allegra e casuale brigata, un’Arca di Noè che aspetta il suo condottiero.
Non c’è un unico protagonista ma il testo esalta ora l’uno ora l’altro con il Gerarca, Marco Natalucci, che attira sui di sé le ira funeste della mala suerte, salvando con il proprio giusto sacrificio il buon nome del machismo, del cielodurismo.
L’integrità si sfalda, gli ordini si moltiplicano assieme ai bicchieri di vino ingurgitati.
Un fuggi fuggi scuote i personaggi. Sembra che il Dux sia sempre sulla soglia. Che arrivi da un momento all’altro. Falsi allarmi e ricomincia la commedia.
Il Gerarca respira il potere e ne coglie a piene mani. Ha il pugno della situazione e lo usa anche. Offende, manipola, distrugge, governa queste povere anime smarrite in una sala troppo piccola.
E’ la metafora dell’Italia nel Ventennio, retta da incapaci affamati di fama con troppo fame alle spalle. Le parole “Patria”, “Nazione”, “Italia”, “Romanità”, risultano prive di senso e vuote insieme a tutte le braccia tese. Non si possono usare parole straniere: il whisky è lo “spirito d’avena”, il panorama diventa “tutto quello che si vede”. Frustrazioni, cattiverie, violenza, ubriachezze moleste si mischiano ai continui protocolli da rispettare, ma quando il gatto non c’è i topi ballano. La Giustizia trionfa. Una carezza ed uno schiaffo: una scrittura esaltante per lo spettatore, in balia degli eventi, e, crediamo, anche per gli attori.
Prove a dir poco maiuscole per Massimo Grigò, il Poeta dalla rima facile, per Alessandro Baldinotti, una Baronessa d’alta scuola con malizia innata, charme e sufficiente altezzosità, per Roberto Gioffrè, il Funzionario che trama dietro le quinte con austerità senza compiacimento, per Francesco Mancini, capocameriere che trasmette la propria ansia e semplicità al gruppo di naufraghi del destino.
Sperando di rivederlo in sedi invernali, magari anche in una lunga tenitura, in un foyer o in qualche spazio non prettamente deputato al palcoscenico.
Una festa che potrebbe essere allargata proprio agli spettatori, in numero limitato, con cena annessa, potrebbe essere coinvolgente come pochi altri testi, coniugando il teatro con il cibo, in una sorta di lavoro simil Ariette ma con molta più sostanza.

Voto 8.5 

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