Fabbrica Europa 2009
Verdastro Della Monica: Satirycon
Cesar Brie: Odissea
Laboratorio Nove - Branko Brezovec: Galileo Incatenato
"Per affrontare l'Odissea abbiamo seguito
l'esempio di Penelope: intrecciato fili diversi. Uno dei fili è stato partire
da noi. Quali sono i nostri naufragi, le
nostre passioni, i nostri mostri? Cosa abbiamo abbandonato? Dove si nasconde la
nostra Itaca? Diciamo Io, per dire Noi.
Diciamo Noi per dire Voi. Non dobbiamo smarrire questa presenza intima che
bussa alla porta e vuole diventare l’universo. Nel lavoro finale restano tracce
del viaggio nell’intimità dei miei attori”.
Dietro Laerte, Penelope,
Argos, Circe, Calipso aleggiano invisibili altre anime, quelle degli interpreti
e si sentono, pulsanti, vive, coinvolgenti, mentre Ulisse veleggia verso una
nuova Itaca sul palco di Fabbrica Europa, per l’avvincente, divertente e densa
Odissea di Cesar Brie, che con questo lavoro torna a misurarsi
con la rilettura dei poemi epici (ma ci sono anche tanti riferimenti, tracce e
suggestioni di James Joyce,
Tonino Guerra, Borges, Kavafis, Pascoli, Dante, Chiarini,
Vernan), come aveva fatto quasi dieci anni fa con
l’Iliade. Se gli aggettivi si sprecano per commentare questo lavoro è merito del talento
della fantastica compagnia sudamericana che è riuscita in due ore e mezza nell’ardua
impresa di raccontare le peripezie di un Ulisse aulico – contemporaneo, senza cadere mai nello scontato. Dando spazio alla fisicità, all’ironia, all’epica del racconto e alla mancanza di epica che ci circonda. Ulisse è anche un emigrante, un terzo della Bolivia (dove
nasce la compagnia) vive fuori dal paese. In questo lavoro che offre il destro
a Brie
per ricollocare il mito nella nostra società, Ulisse racconta ai Feaci l’odissea dei latinoamericani che cercano di entrare
negli USA. La sirena è il canto della nostalgia, il ricordo che
paralizza e annienta. Un Polifemo hip pop diventa
il capo della gang che assalta i poveracci sul treno che dal sud del Messico li
porta al nord: lo hanno battezzato La Bestia. Il ritorno di Ulisse diventerà
una deportazione: si parte da Itaca e a Itaca si torna scacciati e vinti. La
terra promessa diventa la terra dei Lotofagi. Le danze
tradizionali boliviane forniscono i passi dell’esodo, della fuga, della
speranza e della perdizione.
Tutti personaggi sono
caratterizzati con grande intensità e modernità dall’attenta e vitale regia di Brie,
che dirige i suoi attori facendo esprimere a ognuno il meglio di sé, rendendo
ognuno responsabile e artefice dei vari personaggi che interpreta. Il risultato
sa di Quartetto Cetra
(chi non ricorda le loro mitiche micro storie
televisive), ma anche di mixing (riuscito) fra le arti sceniche.
Tutti gli interpreti sono dei performer nati (o ben costruiti da Brie)
e lo dimostrano sulla scena, cambiando velocemente personaggio (e
caratterizzandolo di grande verve) cantando, danzando, lanciandosi in
spericolate acrobazie, suonando con destrezza diversi strumenti musicali,
creando simpatia ogni volta che entrano in scene o stupendo il pubblico con il
loro rigore atletico, con la loro
effervescente irriverenza espressiva.
Rimangono fissati nell’iride
le sinuose evoluzioni marziali
di Karen May Lisondra (che incanta con il suo fascino
e i suoi sorprendenti miracoli di balistica fisica in movimento), ma anche le
altre attici non hanno meno espressività e meno charme (anzi), mentre gli
attori vivono anche l’irruenza mascolina con classe, gioiosamente impetuosa.
Bella e funzionale anche la
scenografia creata da Gonzalo Callejas
con solo canne di bambù. Una foresta dinamica che si muove, si compone e
scompone a meraviglia attraverso una complessa struttura di corde, binari, ingegni, che gli attori muovono a vista,
facendo nascere ambienti sensazioni diverse, creando atmosfere, suscitando
suoni e rumori che si inseriscono nella colonna sonora e movimenti che danno
l’impressione di moltiplicare le presenza in scena.
“Il nostro ingegnere delle
scene sparisce per un mese dalla sala – racconta Cesar Brie - . Un giorno mi
fanno entrare e sedere con gli occhi chiusi. E mi dicono puoi guardare. Davanti
a me canne appese. Si aprono, si chiudono, ruotano, si spostano avanti e
indietro. Creano strade, case, boschi, recinti, mura. Un marchingegno semplice
che sembra complessissimo. Da quell’istante il lavoro
si compatta.”
La musica, insieme al
fantastico istrionismo degli attori è presente e pulsante nella drammaturgia e
arricchisce questo lavoro di suggestioni, di componenti nuove, come un collante
magico di un teatro musicale in ebollizione.
“La musica viene ad aiutarci in
questo lavoro grazie a mio nipote Pablo Brie. Non l’ho visto crescere per via
dell’esilio e lo ritrovo adulto, competente, sensibile. E’ una restituzione. La
sua presenza è anche parte del mio ritorno a Itaca. Compone e, insieme a Lucas Achirico, ha insegnato a
cantare ai nuovi attori”.
Voto
7 ½