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  27/04/2024 - 01:51

 

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Teatro De Los Andes
Odissea
Testo, regia e luci Cesar Brie. Costumi Giancarlo Gentilucci, Teatro de los Andes. Scenografia Gonzalo Callejas, musiche Pablo Brie, direzione musicale Lucas Achirico. Con Lucas Achirico, Cynthia Callejas; Gonzalo Callejas, Mia Fabbri, Alice Guimaraes, Karen May Lisondra, Paola Oña, Ulises Palacio, Julián Ramacciotti, Viola Vento
8 e 9 maggio 2009 alla Stazione Leopolda di Firenze per Fabbrica Eropa, coproduzione Emilia Romagna Teatro / Fondazione Pontedera Teatro. In collaborazione con: Armunia Festival Costa degli Etruschi Castiglioncello / Fondazione Fabbrica Europa

 




                     di Giovanni Ballerini


Fabbrica Europa 2009
Verdastro Della Monica: Satirycon
Cesar Brie: Odissea
Laboratorio Nove - Branko Brezovec: Galileo Incatenato


"Per affrontare l'Odissea abbiamo seguito l'esempio di Penelope: intrecciato fili diversi. Uno dei fili è stato partire da noi. Quali sono i nostri naufragi, le nostre passioni, i nostri mostri? Cosa abbiamo abbandonato? Dove si nasconde la nostra Itaca? Diciamo Io, per dire Noi. Diciamo Noi per dire Voi. Non dobbiamo smarrire questa presenza intima che bussa alla porta e vuole diventare l’universo. Nel lavoro finale restano tracce del viaggio nell’intimità dei miei attori”.

Dietro Laerte, Penelope, Argos, Circe, Calipso aleggiano invisibili altre anime, quelle degli interpreti e si sentono, pulsanti, vive, coinvolgenti, mentre Ulisse veleggia verso una nuova Itaca sul palco di Fabbrica Europa, per l’avvincente, divertente e densa Odissea di Cesar Brie, che con questo lavoro torna a misurarsi con la rilettura dei poemi epici (ma ci sono anche tanti riferimenti, tracce e suggestioni di James Joyce, Tonino Guerra, Borges, Kavafis, Pascoli, Dante, Chiarini, Vernan), come aveva fatto quasi dieci anni fa con l’Iliade. Se gli aggettivi si sprecano per commentare questo lavoro è merito del talento della fantastica compagnia sudamericana che è riuscita in due ore e mezza nell’ardua impresa di raccontare le peripezie di un Ulisse aulico – contemporaneo, senza cadere mai nello scontato. Dando spazio alla fisicità, all’ironia, all’epica del racconto e alla mancanza di epica che ci circonda. Ulisse è anche un emigrante, un terzo della Bolivia (dove nasce la compagnia) vive fuori dal paese. In questo lavoro che offre il destro a Brie per ricollocare il mito nella nostra società, Ulisse racconta ai Feaci l’odissea dei latinoamericani che cercano di entrare negli USA. La sirena è il canto della nostalgia, il ricordo che paralizza e annienta. Un Polifemo hip pop diventa il capo della gang che assalta i poveracci sul treno che dal sud del Messico li porta al nord: lo hanno battezzato La Bestia. Il ritorno di Ulisse diventerà una deportazione: si parte da Itaca e a Itaca si torna scacciati e vinti. La terra promessa diventa la terra dei Lotofagi. Le danze tradizionali boliviane forniscono i passi dell’esodo, della fuga, della speranza e della perdizione.

Tutti personaggi sono caratterizzati con grande intensità e modernità dall’attenta e vitale regia di Brie, che dirige i suoi attori facendo esprimere a ognuno il meglio di sé, rendendo ognuno responsabile e artefice dei vari personaggi che interpreta. Il risultato sa di Quartetto Cetra (chi non ricorda le loro mitiche micro storie televisive), ma anche di mixing (riuscito) fra le arti sceniche. Tutti gli interpreti sono dei performer nati (o ben costruiti da Brie) e lo dimostrano sulla scena, cambiando velocemente personaggio (e caratterizzandolo di grande verve) cantando, danzando, lanciandosi in spericolate acrobazie, suonando con destrezza diversi strumenti musicali, creando simpatia ogni volta che entrano in scene o stupendo il pubblico con il loro rigore atletico, con la loro effervescente irriverenza espressiva.

Rimangono fissati nell’iride le sinuose evoluzioni marziali di Karen May Lisondra (che incanta con il suo fascino e i suoi sorprendenti miracoli di balistica fisica in movimento), ma anche le altre attici non hanno meno espressività e meno charme (anzi), mentre gli attori vivono anche l’irruenza mascolina con classe, gioiosamente impetuosa.

Bella e funzionale anche la scenografia creata da Gonzalo Callejas con solo canne di bambù. Una foresta dinamica che si muove, si compone e scompone a meraviglia attraverso una complessa struttura di corde, binari, ingegni, che gli attori muovono a vista, facendo nascere ambienti sensazioni diverse, creando atmosfere, suscitando suoni e rumori che si inseriscono nella colonna sonora e movimenti che danno l’impressione di moltiplicare le presenza in scena.

“Il nostro ingegnere delle scene sparisce per un mese dalla sala – racconta Cesar Brie - . Un giorno mi fanno entrare e sedere con gli occhi chiusi. E mi dicono puoi guardare. Davanti a me canne appese. Si aprono, si chiudono, ruotano, si spostano avanti e indietro. Creano strade, case, boschi, recinti, mura. Un marchingegno semplice che sembra complessissimo. Da quell’istante il lavoro si compatta.”

La musica, insieme al fantastico istrionismo degli attori è presente e pulsante nella drammaturgia e arricchisce questo lavoro di suggestioni, di componenti nuove, come un collante magico di un teatro musicale in ebollizione.

“La musica viene ad aiutarci in questo lavoro grazie a mio nipote Pablo Brie. Non l’ho visto crescere per via dell’esilio e lo ritrovo adulto, competente, sensibile. E’ una restituzione. La sua presenza è anche parte del mio ritorno a Itaca. Compone e, insieme a Lucas Achirico, ha insegnato a cantare ai nuovi attori”.

Voto 7 ½ 

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