Alle spalle una scenografia di guerra e morte, distruzione e desolazione (creata da Mariangela Capuano), per sipario un bandone di acciaio grigio, rumori lancinanti in sottofondo di bombe, spari, fari accecanti di elicotteri. Il Metastasio di Prato e il Teatro India di Roma trasformati in un campo di battaglia per "No man's land", due atti, tratto dall'omonimo film sulla guerra nei Balcani di Denis Tanovic vincitore dell'Oscar 2002 e della Palma d'Oro di Cannes.
La regia di Massimo Luconi, ed il testo rivisitato di Sandro Veronesi, è incentrata sullo scontro tra poveri soldati, bosniaci e serbi, Tchiki-Marco Baliani e Nino-Andrea Collavino, capitati per caso in questa guerra, all'interno di una trincea tra i due schieramenti.
L'esilarante figura di Tsera-Giuseppe Battiston, il soldato svenuto e messo dai nemici su di una "mina balzante" che s'innesca con il peso e esplode quando il corpo viene spostato, fa da collante, da spalla ideale ai due protagonisti.
Gli spettatori sono in prima linea, quasi partecipano direttamente alla tragicommedia, dove si ride amaro.
L'attesa beckettiana per l'arrivo miracoloso delle forze ONU, che potrebbero far cessare definitivamente questa sporca guerra, si rivela l'ennesimo flop.
Nel bunker si muore e ci si spara in un continuo sobbalzare di emozioni contrastanti, l'odio e la solidarietà, mentre ad un passo, inermi e colpevolmente impotenti, stanno a braccetto i caschi blu definiti Puffi, e giornalisti d'assalto, brava Lucka Pockaj che fa il verso a Gruber e Botteri, interessati alla faccia e allo scoop.
Le continue domande grottesche, "Chi ha cominciato la guerra?" tra i due soldati, e "Ma voi siete neutrali" posta alle forze ONU, riecheggiano come pugni nello stomaco.
I soldati, come in un'arena romana, vengono lasciati liberi di uccidersi, il ferito sulla mina viene abbandonato alla morte.
Lo scoop e l'immagine dell'Europa sono salvi, la guerra farà ancora rima con merda.
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