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  05/05/2024 - 02:04

 

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Antro delle Ninfe
Odissea. Doppio ritorno, regia di Luca Ronconi
Da Omero e Porfirio, a cura di Emanuele Trevi, costumidi Silvia Aymonimo, musiche di Carlo Boccadoro, luci di Nevio Cavina, progetto scenico di Marco Rossi. Progetto per “Ferrara, città del Rinascimento
Prima assoluta al Teatro comunale di Ferrara dal 4 al 9 settembre 2007

 




                     di Tommaso Chimenti


Antro delle Ninfe, Odissea. Doppio ritorno, regia di Luca Ronconi
Itaca, Odissea. Doppio ritorno, regia di Luca Ronconi


Nell’“Antro delle Ninfe” di Ronconi ci sono due porte. Da una escono gli uomini, gli intellettuali, di qualsiasi epoca visti i colletti dei completi scuri da Inquisizione cattedrale, dall’altra gli dei, gli immortali delle pagine del mito, Ulisse l’odisseo, la maga Circe. Sul piano di tavole a T rialzato e centrale come passerella d’alta moda, siamo nel palco aperto e dilaniato entrati dal retro dalla salita degli artisti, da una parte si sviluppa una speculazione dialettica da lavagna fine a se stessa, un ragionamento perseverante che trova sbocchi soltanto nella parola. Un cenacolo di uomini da salotto aristocratico, un “Quark” filosofico, che brandisce citazioni e conoscenze per, ora spiegare, ora giustificare con pedanti precisazioni e puntualizzazioni altisonanti infarcite di inchiostro e studi accademici, illazioni e scervellamenti ricchi di metafore e allegorie, discorsi da azzeccagarbugli, elucubrazioni da masturbazione mentale, la storia che di fronte a loro si sta nuovamente consumando. Da una parte il vuoto senza costrutto dall’altra quest’Ulisse orizzontale disteso bloccato da lacci invisibile come un Gulliver ellenico, da ragnatele o spaghi astratti, feticcio in posizione fetale, schiacciato dal peso dell’Eterno totemico, un Cristo immerso nella sua croce, come in una lezione d’anatomia leonardesca. Ed un Ulisse, scena toccante nel confronto-carezza delle età della vita, anziano (uno e trino, alla fine) che cerca di rianimare il se stesso giovane, rimane impressa negli occhi. Se sul fondale sul sipario tagliafuoco è ricostruita, intagliandola, l’isola di Itaca, con le parole del Poeta, dall’altra cala la ghigliottina delle stesse sillabe, ma legnose, smontabili e spostabili, rompibili e confutabili, addirittura. La dialettica incalza sulla pietra della cronaca, giocando ad incastrare idee nozionistiche come lego, teoremi da quiz come meccano, assiomi ipotetici come pezzi di puzzle. E la Circe olimpionica disegna la sua geografia di sentimenti sul petto del naufrago che resta inchiodato al passato e impossibilitato nel riemergere riesumandosi, immobile e senza forze per reagire, troppo legato alle sue radici per trovarne di nuove, mentre, paradossalmente, dall’altra parte della barricata dotta si cercano forzatamente appigli ed agganci per scovare nuovi punti di contatto. Contatto che trionfa nell’unico punto di unione da insiemistica primaria quando un Ulisse più maturo sale dalla platea sgombra di velluto, durante “Itaca”, e sale a lenire. Ma lo schema della discussione estrema è fin troppo allungato, sia pur nell’estetica gotica di lazzi ardimentosi, e la riproposizione delle schermaglie anche stucchevole, però in un’ironia saggia ed apprezzabile, così come la recitazione alta in ogni singolo momento.

Voto 6½ 

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