Antro delle Ninfe, Odissea. Doppio ritorno, regia di Luca Ronconi
Itaca, Odissea. Doppio ritorno, regia di Luca Ronconi
Nell’“Antro delle Ninfe” di Ronconi ci sono due
porte. Da una escono gli uomini, gli intellettuali, di qualsiasi epoca visti i
colletti dei completi scuri da Inquisizione cattedrale, dall’altra gli dei, gli
immortali delle pagine del mito, Ulisse l’odisseo, la
maga Circe. Sul piano di tavole a T rialzato e centrale come passerella d’alta
moda, siamo nel palco aperto e dilaniato entrati dal retro dalla salita degli
artisti, da una parte si sviluppa una speculazione dialettica da lavagna fine a
se stessa, un ragionamento perseverante che trova sbocchi soltanto nella
parola. Un cenacolo di uomini da salotto aristocratico,
un “Quark” filosofico, che
brandisce citazioni e conoscenze per, ora spiegare, ora giustificare con
pedanti precisazioni e puntualizzazioni altisonanti infarcite di inchiostro e studi
accademici, illazioni e scervellamenti ricchi di
metafore e allegorie, discorsi da azzeccagarbugli, elucubrazioni da
masturbazione mentale, la storia che di fronte a loro si sta nuovamente
consumando. Da una parte il vuoto senza costrutto dall’altra quest’Ulisse
orizzontale disteso bloccato da lacci invisibile come
un Gulliver ellenico, da ragnatele o spaghi astratti, feticcio
in posizione fetale, schiacciato dal peso dell’Eterno totemico, un Cristo
immerso nella sua croce, come in una lezione d’anatomia leonardesca.
Ed un Ulisse, scena toccante nel confronto-carezza
delle età della vita, anziano (uno e trino, alla fine) che cerca di rianimare
il se stesso giovane, rimane impressa negli occhi. Se sul fondale sul sipario
tagliafuoco è ricostruita, intagliandola, l’isola di Itaca, con le parole del Poeta,
dall’altra cala la ghigliottina delle stesse sillabe, ma legnose, smontabili e
spostabili, rompibili e confutabili, addirittura. La dialettica incalza sulla
pietra della cronaca, giocando ad incastrare idee nozionistiche come lego,
teoremi da quiz come meccano, assiomi ipotetici come pezzi di puzzle. E la Circe
olimpionica disegna la sua geografia di sentimenti sul petto del naufrago che
resta inchiodato al passato e impossibilitato nel riemergere riesumandosi,
immobile e senza forze per reagire, troppo legato alle sue radici per trovarne
di nuove, mentre, paradossalmente, dall’altra parte della barricata dotta si
cercano forzatamente appigli ed agganci per scovare nuovi punti di contatto.
Contatto che trionfa nell’unico punto di unione da
insiemistica primaria quando un Ulisse più maturo sale dalla platea sgombra di
velluto, durante “Itaca”, e sale a lenire. Ma lo
schema della discussione estrema è fin troppo allungato, sia pur nell’estetica
gotica di lazzi ardimentosi, e la riproposizione delle schermaglie anche
stucchevole, però in un’ironia saggia ed apprezzabile, così come la recitazione
alta in ogni singolo momento.
Voto
6½