"E’ da un mese che durante le prove cerchiamo di non fare morire Antigone, ma è impossibile, sembra che il suo destino non possa
essere che questo… ma se muore Antigone è come se devo morire anch’ io. No, troppo presto. Ci stanno addestrando a scomparire e io voglio essere visibile, ascoltata... e non voglio neanche andare
via".
Di ritorno dal festival newyorkese Under the radar, che si è
tenuto al Public Theater,
la prima tappa italiana dei Motus è al Teatro
Studio di Scandicci, dovei il 28 e 29 gennaio 2011 alle 21 propongono Io vado
via (Antigone) contest #3. Lo spettacolo, scritto da Daniela Nicolò, è
interpretato da Silvia Calderoni, attrice premio UBU 2009, nel ruolo di Antigone e da Gabriella Rusticali come Tiresia; musica dal vivo di Andrea
Comandini. Firmano la regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò.
Si tratta dell’ultimo episodio di Syrma Antigònes
(una trilogia che ha riscosso enorme successo in
Italia, in Europa e a New York), un progetto che elabora i temi della tragedia
greca tramite dialoghi-confronti che affrontano domande, urgenze e
sollecitazioni di riflesso alla possibile rilettura di una splendente Antigone d’oggi.
"E questa luce sacra del sole non potrò più vederla?" si chiede Antigone mentre è condotta alla tomba. Ma è proprio così? L’attrice
che interpreta Antigone, dopo tanta pubblica esposizione, si pone in rivolta
verso il nero di se stessa, per tentare una utopica
riflessione sulla percezione (e l’azione) artistica. Il luogo oscuro è condiviso e illuminato dagli sguardi degli spettatori, anche in questo caso immessi nello spazio scenico, testimoni del confronto che qui assume una forma
circolare, magica. La trilogia si conclude dunque con un contest impossibile: le attrici “giocano” i ruoli d’Antigone e Tiresia, in una atmosfera sospesa, atemporale, sincretica. Anche se nella tragedia non
s’incontrano, ci paiono accomunate da una sorta di “sguardo partecipante”, che
spinge ad agire, nel caso di Antigone, o a testimoniare – esporsi nel dire e pre-dire – nel caso di Tiresia. I loro sguardi eccessivi sono attratti da quel punto limite che i
greci chiamano Ate, un labile confine fra vita e morte, che solo brevemente può essere varcato … Liliana Cavani nel film I Cannibali li
immagina insieme, in una fuga impossibile, congiunti in una morte pubblica per
fucilazione, come due irriducibili della protesta, in una piazza gremita di
gente, alla luce del sole.
Lo sguardo partecipante è compromettente, perché
implica un vedere e un essere visto in uno scambio continuo di ruoli fra Spectrum e Spectator. La separazione fra soggetti vivi e vedenti e oggetti morti, visti, è l’effetto di
un rapporto di supremazia: è la violenza dello sguardo che gli Stati totalitari
e del capitalismo avanzato impongono ai cittadini. Non a caso tutti i sistemi
legislativi dei paesi ricchi hanno riformulato il corpo delle leggi in relazione alle forme di nomadismo, sia rispetto ai migranti, che ai vagabondi e ai Rom, che rispetto alle varie forme di follia.
Il motore primo che spinge Motus in un viaggio
avviatosi nel 1991, è da sempre una bruciante istanza di realtà. Animati da un motus (movimento) interno verso il fuori, da una
necessità inderogabile al confronto con temi, conflitti, urgenze, ferite
dell’attualità, secondo un’attitudine del tutto impura all’ascolto, hanno lavorato per mescolanze di vari formati espressivi, dall’istallazione, alla performance, al video. hanno lavorato per tracce, frammenti, indizi lasciati sul terreno, sbriciolando per ricomporre in una drammaturgia originale, gli eventi tragici, secondo una scrittura impregnata
delle biografie ed esperienze personali degli attori coinvolti nel progetto.
Voto
7 +