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  25/04/2024 - 02:08

 

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Tony Clifton Circus
Hula Doll
Da un’idea di Nicola Danesi de Luca e Iacopo Fulgi: In scena due clowns acidi, un musicista e un mucchio di oggetti si abbandonano alle loro fantasie ludiche non meno che al loro istinto nero. Con Nicola Danesi de Luca, Iacopo Fulgi, Enzo Palazzoni, musiche originali di Enzo Palazzoni
Venerdì 10 luglio 2009 ad Armunia Festival per In equilibrio, Castello Pasquini Castiglioncello

 




                     di Tommaso Chimenti


Incendiare, dare fuoco alla bambola Barbie come oggetto di culto, di studio biondissimo, icona accecante di felicità estetica da adulare, di totem statico di plastica e botulino da imitare, di bandiera gommosa e formosa da idolatrare copiandone le fattezze, infliggendole le più penose torture. Anticonformismo, anticonsumismo, antiamericanismo: tu chiamalo se vuoi antiberlusconismo. Tre “mafiosi” in gessato e occhiali a specchio, con capelli da rockabilly (comunque strizza l’occhio a codici a stelle e strisce) con la banana impomatata, la catenona sul petto fuori dalla maglia, mettono a ferro e fuoco, scarnificandola, l’attesa vana della morbosità del pubblico accusato di passività, di non-reazione, di imbambolamento, di rimbambimento e deficienza e annientamento da troppo piccolo schermo. I Tony Clifton Circus sono bastardi, pazzi, provocanti e provocatori, comicamente disperati, maledetti, trasgressivi, demoni marci, distruttivi e beffardi, diabolici, anche schifosi, depressi e irascibili, irriverenti e nichilisti, detestabili, politicamente scorretti, violentemente alterati, senza rimorsi, mancanti del gene del senso di colpa. Sono rapitori di tranquillità, rapinatori di serenità, stupratori del buongusto, assassini. Sono i clown folli e sanguinari di Stephen King, hanno occhi sbarrati da Arancia Meccanica, lo sguardo allucinato di Jack Nicholson, la sregolatezza di John Belushi, il sorriso sardonico da Psycho, ma sono anche melliflui e subdoli e ingannevoli, ipnotici e debordanti. Grandi figli di, come dicevano gli Stadio e Vasco Rossi. Come un concerto rock, un’invasione di campo senza regole, la corsa dei tori di Pamplona, un’onda, un’orgia, un ammasso, un alluvione, una girandola di energia nel massacrare ferocemente come iene fameliche un peluche gigante di un coniglio, nello scaraventare tutto quello che passa. Sono guastatori dello status quo, sparigliatori dell’ordine con Stefano Cenci nel ruolo a lui congeniale dell’imbonitore da strada, del pifferaio magico, del venditore porta a porta serial killer, dell’adulatore viscido e lascivo, dell’affabulatore ora candido e rassicurante, adesso cattivissimo, seduttore dolce e deciso nel suo sermone ficcante e coinvolgente da predicatore, ora imbalsamato e compunto, ora velenoso e euforico e adrenalinico e incontenibile. Si menano in una grande, gigantesca rissa, in un tourbillon festoso e dirompente, in un gioco al massacro di piatti spezzati a terra, nel riso da sposalizio lanciato con violenza sulla platea, nei coriandoli che s’impastano sul palco assieme a gusci d’uovo, a colpi di pistola, all’acqua spruzzata. Senza un attimo di pausa come in un tunnel degli specchi, dall’esplosione di un ananas, alla farina o alla Nutella lanciate, al suono di una motosega a tagliare a metà un pupazzo. Fin qui tutto bene, come nell’Odio di Kassovitz<. Se la lettura rimane leggera lo spettacolo è di puro intrattenimento, ma non crediamo fosse il loro intento principale. La riflessione apre la forbice quando si affida all’“Anche stasera a teatro non è successo niente” e neanche la loro piece è stata iconoclasta. Qualcuno prima di loro aveva detto che il teatro è morto. E i Tony Clifton nei due momenti finali, snervanti per lunghezza, avevano avuto l’occasione di affondare il colpo ben più dentro la carne di una risata che si perderà in altre risa: la roulette russa e il piatto da schiacciare in faccia ad uno spettatore. Ora, dato per scontato che il colpo in canna non fosse vero, e per la verità nessuno in sala si è posto minimamente il problema, vista la loro anima e vocazione disfattista, potevano nella seconda ipotesi sicuramente osare e tentare almeno la carta dell’imprevedibilità del caso coinvolgendo veramente tutto il pubblico senza affidarsi ad un collaboratore occasionale. Un rischio calcolabile che i TCC, proprio perché portatori con la loro vitalità triste e fisicità punk sconfortata di un teatro che consegni i suoi riverberi anche oltre la sua rappresentazione, potevano assolutamente correre. Rischiando al massimo il realismo.

Voto 7 - 

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