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Fanny & Alexander: Requiem
Finalmente uno spettacolo fuori dalle convenzioni. E' quello proposto al Teatro Studio di Scandicci, dopo il successo riscosso al festival di Santarcangelo, da Fanny & Alexander (alias Chiara Lagani e Luigi de Angelis) con il loro nuovo Requiem per voci, trombone, ambienti e macchine del suono. Si tratta quasi di un debutto visto che finora lo spettacolo ha vissuto solo in spazi all'aperto, estivi. Alla base di questo nuovo lavoro di Fanny e Alexander, la materia sonora plasmata magistralmente da Luigi Ceccarelli. La fabula, tratta dal mito di Eros e Psyche, tritura e impasta parole e ispirazioni da Apuleio all'Antologia Palatina, da Manganelli a Rimbaud, da Gian Battista Marino a Lewis Carroll, da Pascoli a Jean Genet. Ne esce un testo torrenziale e senza freni, una lingua multipla, barocca, dialettale, balbuziente. Psyche è colei cui la bellezza è condanna, che ama e non può vedere, che vuole ma non sa morire. "La rappresentazione - raccontano gli stessi Fanny e Alexander - inizia, attraversando Acheronte. Si sale su un battello che percorre la Darsena. Gru, serbatoi, scheletri d'acciaio. Nessuno in vista: metallo, cemento, acqua e nient'altro. La nave ci sbarca all'ingresso dell'Ade". E' un cimitero monumentale, neogotico romantico, scuro, imponente. "Questa almeno- commentano ancora i Fanny e Alexander - era la cornice pensata originariamente per questo Requiem cui, per qualche malinteso divieto, al debutto estivo si è dovuto rinunciare in extremis". Ma una suggestione forte di quell'immagine resta nel prologo del nuovo spettacolo in versione invernale ripensata per gli spazi raccolti e chiusi dei teatri. "Arriviamo al luogo - riprendono a narrare i Fanny e Alexander -: un muro rosso, nudo, lapide o soglia dell'aldilà. Attorno è un'Arcadia di cespugli e boscaglia, fra i rami si staglia la statua bianca della Venere di Milo. Un ronzio diventa un rombo assordante che si sposta; mosconi, calabroni sfrecciano. Ma non ci sono né aerei né insetti, solo diffusori nascosti nel buio. Il muro si accende: luci, fuochi, la scena si anima".
Nell'aria lacerata dai suoni ovunque, corrono i gesti e la voci degli interpreti in gara di bravura fra loro: Chiara Lagani (Psyche/Afrodite), Marco "Psicopompo" Cavalcoli, le "Sorelle" Francesca e Sara Masotti, Valerio "Eros" Michelucci, Mirto "Pan" Baliani. Luigi Ceccarelli è il signore del tuono. Nella sua fucina le voci diventano polifonie metalliche, taglienti di cattiveria (le Sorelle); gli smarrimenti e i vaniloqui di Psyche generano marosi di tempesta, spalancano abissi; uno, mille tromboni riversano tonnellate di suono, come si risvegliassero le navi che dormono poco lontano. Ma dalla statua di Afrodite, a tratti, nasce un canto: Requiem aeternam, poi Kyrie, Dies Irae, Lacrymosa, Agnus Dei. Intonata da Elena Sartori, la melopea gregoriana è un canto di sirena o di strega, seducente e terribile che si rifrange, si amplifica, combatte con le parole. Nella dimensione sonora il dramma di coppie e di antagonisti - Eros e Psyche, Afrodite contro Psyche - si muta nel binomio psyche e techné. Qui la "meraviglia" cavalca a briglie sciolte, la tecnologia elettronica dona alla parola un'aura, uno strapotere emotivo che stordisce e ammalia. La metamorfosi è continua: suono, rumore, canto, parola, musica si compenetrano, si generano uno dall'altro in una drammaturgia uditiva che azzera il tradizionale dualismo parola/musica.
Voto
8