“Meglio del perdersi in fondo
all’immobile. Meglio del sentirsi forti nel labile. Forse, sicuro, è il bene
più radioso che c’è. Lieve svenire per sempre persi dentro di noi” (Marlene Kuntz,
Lieve)
Se riuscissimo a farci scivolare addosso le cose, se riuscissimo a toglierci questo mantello
di pesantezza che ci fa cappa e ci soffoca, riusciremmo a respirare. Se prendessimo le cose più alla leggera, se riuscissimo a dare il giusto valore alle cose, se riuscissimo a staccarci dalla materialità e finalmente sentirci
dentro per quello che siamo. Andare all’essenza, ritrovarci, capire di avere dentro l’infinito, che non siamo numeri, né volume da spostare, né massa da imbottigliare, né bollette da pagare, né code da inscatolare, né medie statistiche, né consumatori né compratori, né utenti né fruitori,
né dati da sondaggi da manipolare, né carne da macello. E se fosse
lieve di Sosta Palmizi incrocia
due stili soavi: la danza e la poesia. Lo fa con dolcezza ed armonia, in punta
di piedi, con i guanti di velluto, che la materia è fragile e friabile, come la
vita. Un lungo parallelo con l’esistenza umana, le parole di Vasco Mirandola e gli alluci danzanti
di Enrica Salvatori,
negli anni ’90 nel Folkwang Tanz Studio di Pina Bausch. Un fiume leggero che scorre, ma costante, continuo, sotto pelle. I brividi cominciano a macinare, il rarefarsi delle nuvole surreali della poesia diventano, di colpo, d’incanto, vive che sembra vederle, si possono annusare i miti e gli archetipi, ritrovare
assonanze, congiunture, visioni, elasticità flessibili dimenticate. La poesia
non è roba d’altri scritta su libri letti da pochi. La poesia è in noi, dobbiamo soltanto avere la forza, ed il coraggio, di
metterla nelle nostre azioni quotidiane. La poesia non è un bel verso, ma è un
approccio, un atteggiamento, una condivisione, un esserci, un darsi, un saper emozionarsi senza remore, uno slancio, il non sentirsi sbagliati, né imperfetti, un viversi giorno per giorno, che tirare i remi in barca non avrebbe senso, che conservarsi non sarebbe lungimirante.
Prendimi, consumami, è l’unico modo per vivere. Fare tutto, farlo bene. Per tentativi, per ipotesi, lasciando sempre la porta aperta al
nuovo, alla meraviglia, al domani, al futuro, senza trincee, senza preconcetti,
senza chiusure, senza. Le immagini rarefatte si fondono con una musica che
sembra provenire da una pancia. Ecco, forse è la pancia di una mamma questo
mondo-magma dove agiscono i due performer: sgranato, sfibrato, senza contorni
ma anche senza protezione, a braccia aperte ad accogliere, senza paura di farsi
male. Un sogno fetale, come trovarsi in un paese sconosciuto, lontano. Qui gli attriti, i litigi miseri e minimi delle nostre quotidiane tristezze sono stati lavati via, e ci si apre un mondo, trasognante e fantastico, dove tutto, soprattutto con la potenza della parola, di questa parola che si fa immagine e diviene immaginifica, è possibile. Un altro mondo è possibile. Un posto dove finalmente poter respirare, sentirsi il corpo, senza buccia, senza
corazza, senza pelle, solo così le onde possono arrivare più violente e più forti, ma anche più dense e piene. Per capire bisogna ferirsi. La semplicità ci salverà, la sottrazione arriverà a buttarci la scialuppa per tirarci fuori
dalla melma. “E se fosse lieve” è pulito e liscio, come una coperta in una culla da neonato. Abbiamo estremamente bisogno della poesia, ci fa sentire “parte pura dell’abisso”. Sulla scena oggetti lasciati cadere come briciole di Pollicino per farsi ritrovare nell’ammasso di solitudini, come sabbia tra le dita, come felicità che non puoi trattenere, scoperta infantile, gocce d’essenza di gioia distillata. E’ il controllo dell’età adulta che ci fa perdere il sogno, ci
instrada sul viale del tramonto, facendoci lasciare negli anni il sorriso per i
gesti piccoli ed insignificanti, quelli toccanti senza un vero senso, i semplici, i minuti, i complici, di andate e ritorni, di amori e
lacerazioni, di fratture e impossibilità, di treni perduti. La vita è un miracolo, descriverla è impossibile, ma la poesia ci arriva vicino. Continuate a stupirvi, non smettetela mai, non annoiatevi, siamo dei miracoli con le gambe. E la vita, sotto forma di poesia, prima o poi chiama, e fare finta di niente è impossibile, impossibile non ascoltare il suo richiamo, la sua spinta. Abbiamo tutti passi incerti e ci muoviamo timidi ed
impauriti sulle foglie secche delle nostre macerie. E se fosse lieve è un canto sottile, una liturgia privata, un rito sacro
delicato e leggero, tintinnante come un’acquasantiera. E’ veramente lieve. La
vita, la poesia, la piece.
Voto
7½