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  06/05/2024 - 10:02

 

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Don Fausto
Di Antonio Petito, regia Arturo Cirillo
La scena è a cura di Massimo Bellando Randone, i costumi di Gianluca Falaschi, la musica di Francesco De Melis, le luci di Andrea Narese. Con Salvatore Caruso, Rosario Giglio, Antonella Romano, Luciano Saltarelli, Sabrina Scuccimarra
Al Teatro Yves Montand, Monsummano Terme, 19 gennaio 2008

 




                     di Tommaso Chimenti


La trasposizione tedesco- napoletana di quel Goethe che nel suo viaggio in Italia toccò appunto anche Napoli, dell'eroe mortale che si lasciò attrarre e carpire dal sovrannaturale maligno barattando l'anima con la conoscenza, diventa, grazie alla regia da Presepe partenopeo di Arturo Cirillo ed ad un manipolo d'attori spassosamente mediterranei e caciaroni (al limite dell'incomprensibile), una sorta di Cirano.

L'amante (Faust) e l'amata (Margherita) divisi da una follia pirandelliana (costruita o veritiera) e dalla maschera di Pulcinella (Sabrina Scuccimarra pirotecnica e saltimbanco giocoso con anima da Pierrot) risolvendosi nell'ennesimo baratto, in quello scambio feroce e infantile, canzonatorio, consolatorio e terapeutico, che fa diventare la realtà una commedia dell'arte con parti scritte a braccio in canovacci all'impronta, con recite precise ed un finale che tutti conoscono ed intuiscono, pubblico compreso, tranne l'allocco, il fesso protagonista di turno.

Proprio lui che si sentiva padrone ed ispiratore del suo intorno visionario si trova beffato e gabbato.

Ma è proprio questo inganno ai suoi danni la sua salvezza che lo fa rinsavire, o impazzire i compagni, e la sua vittoria riuscendo a spostare la soglia del consentito fino ad appiattirla, esaltarla, in una mostruosa girandola pitagorica, di gag e contromosse che tutti giustificano, nell'assurdo del senza senso, che quasi ci viene da pensare che anche il nostro Don Fausto non ci giochi sulla e con la sua presunta pazzia.

E se fosse solo un vezzo per mutare, e camuffare, un mondo insoddisfacente e tornare dentro quell'uovo, rotto ma conservato scudo fetale, rigenerato paradossalmente dalla malattia, o dalla presunzione di non normalità o superiorità.

Una macchina della Tac, l'uovo ancestrale, che fa emergere il lato irrisolto di ognuno.

Voto 7 ½ 

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