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Evabbè
Di e con: Dodi Conti
Consulenza regia Maria Cassi
Visto al Teatro del Sale il 7 giugno 2011

 




                     di Tommaso Chimenti


Al Teatro del Sale stasera manca Fabio Picchi, ma in cucina lo sostituisce, degnamente, uno dei figli, che lo imita anche negli urlacci dalla vetrata per presentare il nuovo piatto appena sfornato. Non è giunonico come il padre, non ha la sua stessa barba marxista, ma la pasta c’è. E dopo le cozze al limone, i gamberoni giganti, le cappelle di porcini, le ciliegie cotte nel vino, il gelato alla banana (con aggiunta di miele, l’ingrediente segreto), la pancia è colma. Si vendono le copie del nuovo numero dell’autoprodotta rivista “Ambasciata Teatrale” il cui ricavato viene destinato al progetto “Acquifera”, un gruppo di geologi che portano l’acqua in Africa dove manca.

Uno spettacolo forte, intenso, presente al suo tempo, attuale. E’ di poche settimane fa, infatti, l’aggressione alla parlamentare Paola Concia. Di piece dove un attore omosessuale racconta, ironicamente, i suoi amori e piccoli scandali, i suoi menage pruriginosi, ne sono pieni i teatri e, soprattutto, la televisione. Al pubblico etero piace ridere, sorridere, sghignazzare, quasi accettare, sempre dandosi di gomito, sentirsi per qualche momento o minuto consecutivo, aperti, non triviali, rivoluzionari, progressisti, futuribili. Il verbo tollerare ha in sé razzismo, snobismo, pulpito, distanza. E’ accettato l’attore famoso gay in quanto portatore di successo e fama, lo stilista di grido(lini), l’opinionista acido e impertinente, il cantante dalle mossette inequivocabili e glamour. Non sarebbero accettati i calciatori, unico appiglio virile e machista, ultimi gladiatori in quest’arena promiscua che è la società odierna. Dodi Conti, ex del gruppo “Le Galline”, con Anna Meacci e Katia Beni, rientrata dopo anni dal Brasile, è un po’ Enrico Brignano, un po’ Montesano, con lampi di Proietti, spot alla Beppe Grillo prima maniera e atmosfere alla Woody Allen. Insomma, una felice scoperta. “Evabbè” è un sospiro, di rassegnazione, d’impotenza, ma anche di contenta accettazione. Dicevamo, difficile, insolito, mai sentito prima, da un palco, trattare e parlare e raccontare con sottile e divertentissima arguzia l’omosessualità vista al femminile. Un fenomeno sottovalutato, non molto considerato dai media, ancora, per certi versi, tabù. Perché se è stata sdoganata l’omosessualità al maschile, attraverso pubblicità, modi di fare, cinematografia, esempi positivi ed intellettuali, per quella al femminile siamo ancora fermi a Saffo e poco più. E non perché, numericamente, le donne che hanno scelto come partner una donna, siano meno rispetto ai maschi. Anzi, come dice la Conti, la maggior parte delle donne etero tra i trentacinque e i quaranta ha voglia e curiosità di provare: famolo strano. Si fa, ma non si dice. Il pretesto per raccontarsi è la voglia di “essere normale”, fare il salto e diventare etero. Che brutta parola. Perché ormai “l’omosessualità è la lasagna la domenica”, troppo banale. “Avere amici omosessuali è uno status symbol”, non ha tutti i torti. Si portano alle cene come trofei, si esibiscono nelle serate di gala, agli aperitivi chic, aspettandoci sempre racconti piccanti di avventure, un essere estroversi superiore alla media, cappelli stravaganti, occhiali giganteschi d’artista e battute ficcanti. In questo dialogo-confessione, la Conti, che interpreta se stessa, incontra vari personaggi, quasi fosse un condominio di voci: la madre, “la prima donna etero con la quale ho avuto a che fare” e che dal telefono la rimbomba di parole incomprensibili in un gramelot che ricorda l’idioma nipponico. Il confronto con le amiche, quasi in un “Sex and the City” tutto nostrano: l’etero radicale, che poi si scopre lesbica, la disinvolta, tutti i consigli che abbondano, affiorano, arrivano. Si ride, le donne compatendoli, gli uomini chinando il capo, alle dissertazioni e divisioni scientifiche sulle categorie settoriali e merceologiche del maschio in commercio, italico e non: il Peter Pan che gioca sempre, come se tutto, anche il corpo della donna, fosse il joystick della playstation; il Depresso che fa sprofondare anche la crocerossina; il Vorrei ma non posso; il Bello, affascinante, colto e non gay, ma con la mamma presenza inquietante nella propria vita. “Le mamme dimenticano di essere state donne: questi uomini per metà della loro vita stanno accanto ad una donna che li fa sentire Dio e perché mai dovrebbero accettare, per l’altra metà, una che li fa sentire uno stronzo?”. Vero. “Le donne dagli uomini si aspettano veramente poco, e allora perché rompergli così tanto i coglioni?”. Sacrosanto. “Gli argomenti degli uomini: lavoro, macchina, calcio”. Colpiti e affondati. “Per far felici gli uomini: dire sempre di sì, ridere alle sue battute”. Facile, no? Ma, nella scelta tra uomini e donne, ci può sempre essere la terza via: sposarsi con Dio, farsi suora. Ma, anche lì. Se le celle potessero parlare.

Voto 7 

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