Al Teatro del Sale stasera manca
Fabio
Picchi, ma in cucina lo sostituisce,
degnamente, uno dei figli, che lo imita anche negli urlacci
dalla vetrata per presentare il nuovo piatto appena sfornato. Non è giunonico
come il padre, non ha la sua stessa barba marxista, ma la pasta c’è. E dopo le
cozze al limone, i gamberoni giganti, le cappelle di porcini, le ciliegie cotte
nel vino, il gelato alla banana (con aggiunta di miele, l’ingrediente segreto),
la pancia è colma. Si vendono le copie del nuovo numero dell’autoprodotta
rivista “Ambasciata Teatrale” il cui ricavato viene
destinato al progetto “Acquifera”, un gruppo di geologi che portano l’acqua in
Africa dove manca.
Uno spettacolo forte, intenso,
presente al suo tempo, attuale. E’ di poche settimane fa, infatti,
l’aggressione alla parlamentare Paola Concia. Di piece
dove un attore omosessuale racconta, ironicamente, i suoi amori e piccoli
scandali, i suoi menage pruriginosi, ne sono pieni i teatri e, soprattutto, la
televisione. Al pubblico etero piace ridere, sorridere, sghignazzare, quasi
accettare, sempre dandosi di gomito, sentirsi per qualche momento o minuto
consecutivo, aperti, non triviali, rivoluzionari, progressisti, futuribili. Il
verbo tollerare ha in sé razzismo, snobismo, pulpito, distanza. E’ accettato
l’attore famoso gay in quanto portatore di successo e
fama, lo stilista di grido(lini), l’opinionista acido e impertinente, il
cantante dalle mossette inequivocabili e glamour. Non
sarebbero accettati i calciatori, unico appiglio virile e machista, ultimi
gladiatori in quest’arena promiscua che è la società odierna. Dodi
Conti, ex del gruppo “Le Galline”, con Anna Meacci e
Katia Beni, rientrata
dopo anni dal Brasile, è un po’ Enrico Brignano,
un po’ Montesano, con lampi di Proietti, spot alla Beppe Grillo prima maniera e atmosfere
alla Woody Allen. Insomma, una felice scoperta. “Evabbè”
è un sospiro, di rassegnazione, d’impotenza, ma anche di contenta accettazione.
Dicevamo, difficile, insolito, mai sentito prima, da un palco, trattare e
parlare e raccontare con sottile e divertentissima arguzia l’omosessualità
vista al femminile. Un fenomeno sottovalutato, non molto
considerato dai media, ancora, per certi versi, tabù. Perché se è stata
sdoganata l’omosessualità al maschile, attraverso pubblicità, modi di fare,
cinematografia, esempi positivi ed intellettuali, per
quella al femminile siamo ancora fermi a Saffo e poco più. E non perché,
numericamente, le donne che hanno scelto come partner una donna, siano meno rispetto ai maschi. Anzi, come dice
la Conti, la maggior parte
delle donne etero tra i trentacinque e i quaranta ha voglia e curiosità di
provare: famolo strano. Si fa, ma non si dice. Il
pretesto per raccontarsi è la voglia di “essere normale”, fare il salto e
diventare etero. Che brutta parola. Perché ormai “l’omosessualità è la lasagna
la domenica”, troppo banale. “Avere amici omosessuali è
uno status symbol”, non ha tutti i torti. Si portano alle cene come trofei, si
esibiscono nelle serate di gala, agli aperitivi chic, aspettandoci sempre racconti
piccanti di avventure, un essere estroversi superiore alla
media, cappelli stravaganti, occhiali giganteschi d’artista e battute
ficcanti. In questo dialogo-confessione, la Conti, che interpreta se stessa, incontra vari
personaggi, quasi fosse un condominio di voci: la madre, “la prima donna etero
con la quale ho avuto a che fare” e che dal telefono la rimbomba di parole
incomprensibili in un gramelot che ricorda l’idioma nipponico. Il confronto con
le amiche, quasi in un “Sex
and the City” tutto nostrano: l’etero radicale, che poi si scopre lesbica,
la disinvolta, tutti i consigli che abbondano, affiorano, arrivano. Si ride, le donne compatendoli, gli uomini chinando il capo, alle
dissertazioni e divisioni scientifiche sulle categorie settoriali e
merceologiche del maschio in commercio, italico e non: il Peter Pan che gioca sempre, come se tutto, anche il corpo della donna,
fosse il joystick della playstation; il Depresso che fa sprofondare anche la crocerossina; il Vorrei ma non posso; il Bello, affascinante, colto e non gay, ma con la mamma presenza inquietante nella propria vita. “Le mamme dimenticano di essere state donne: questi uomini per metà della loro vita stanno accanto ad
una donna che li fa sentire Dio e perché mai dovrebbero accettare, per l’altra metà, una che li fa sentire uno stronzo?”. Vero. “Le
donne dagli uomini si aspettano veramente poco, e allora perché rompergli così tanto i coglioni?”. Sacrosanto. “Gli argomenti degli
uomini: lavoro, macchina, calcio”. Colpiti e affondati. “Per far felici gli uomini: dire sempre di sì, ridere alle sue battute”. Facile,
no? Ma, nella scelta tra uomini e donne, ci può sempre essere la terza via: sposarsi con Dio, farsi suora. Ma, anche lì. Se le celle potessero parlare.
Voto
7