C’è da perdersi. Anche se
accompagnati. Per le scale. In un appartamento sconosciuto. In una telefonata
suadente. Nelle stanze buie. Anche se hai un binocolo e vedi dove di solito è
nero e pece e cupo. Anche se le forme sono vagamente marziane e verdi e aliene
e ti senti come un marines in Afghanistan in missione di stanamento,
anche se le ombre si ingigantiscono ed i confini sono
sbiaditi e le distanze s’allargano e s’allungano. Sei solo. Tu e l’attore. Nient’altro intorno se non un testo da condividere, avviluppati
nelle tenebre. C’è da perdersi nel cuore che inizia a battere, che
attende fuori dalla porta il proprio turno, come un alunno che aspetta di
entrare dal preside. Che ti chiamino dall’interno. Cosa c’è oltre la siepe? Che
cosa c’è dietro la porta. Non aprite quella porta, diceva l’horror
splatter. Poi sono solo gli occhi ciechi di Roberta
Bosetti a catalizzare la visione, accompagnati
dalla sua calda voce da chat line che ti tirano dentro la stanza matrimoniale.
E lì comincia il cerimoniale. Il rituale di un buio infuocato, che sa di
passato, di vergogna, di cecità, di emarginazione, di nostalgia, di chiuso. A
tratti di rancido. Una donna è chiusa in una stanza. La luce non filtra da
nessun pertugio. Si è chiusa, l’hanno segregata, non lo sappiamo. Possiamo
solamente ascoltare. Il suo racconto, le sue parole, il suo segreto. Ne vuole
uno in cambio. E’ stata zitta per troppo tempo. Adesso ha molto da dire, ma non
vuol farsi scoprire, non vuol dire fino in fondo, è
criptica, ermetica, enigmatica, misteriosa. Stesi sul materasso come sul
lettino dello psicanalista, il binocolo in mano a controllare quei due occhi
vuoti e bianchi che indagano il buio che avvolge lo spettatore, il suo alone. E’
un perdersi trascinati, portati per mano come la donna e la bambina del sogno ricorrente,
ossessivo e ossessionante e persistente che ritorna anche nel titolo del duo
italo- australiano. Un sogno fiabesco a tinte fosche e noir, una casa da Hansel e Gretel che
racchiude cose mai viste o non volute vedere, celate dietro paraventi e tendine
decorate da bosco immerso nel Tirolo dell’infanzia. “La bambina è la mia
garanzia”, ripete in automatico la donna dalla grande gonna. Mezz’ora. Non un
minuto di più. Non manca l’effetto finale. Catartico.
Voto
8
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