La Compagnie Marie Chouinard ha presentato in prima nazionale 6 e 7 maggio 2003 a Fabbrica Europa " Des Feux dans la nuit", il primo assolo che la coreografa ha creato per un uomo, ma è stato soprattutto "Étude #1", che ha aperto la serata, a confermare il talento e la sensibilità di questa coreografa canadese, fine indagatrice della psiche femminile, ma forse ancora un po' rigida su quella maschile. Di Étude #1, che vede protagonista la danzatrice Lucie Mongrain, ci ha affascinato la perfetta interazione fra la musica e il movimento scenico, sicuramente frutto di una stretta e azzeccata collaborazione tra la coreografa e il compositore Louis Dufort. Il risultato è una danza in cinque parti ricca di poesia e di ritmo, che esalta le geometrie create dalla Chouinard e integra gli elementi sonori del movimento nella musica: una danza "di acciaio" che si evolve in un sound elaborato in tempo reale. Tutto si svolge su una pedana rettangolare blu, che fa risuonare i passi della danzatrice, gli stridori creati dalle sue scarpe dalla punta di acciaio. Il corpo diventa il pretesto di una serie di movimenti destrutturati, talvolta ondulati, che esaltano una moderna danza del freddo: le lamine metalliche disegnano graffiti sulla pedana, fendono la superficie, si impuntano, ci scivolano su come su come se fosse ghiaccio. La danzatrice di Montreal fa parte della compagnia dal 1998 ed è una delle tre interpreti della retrospettiva Les Solos 1978-1998. Nel 2000 la Chouinard crea per lei il solo " Etude #1", una bella soddisfazione per Lucie Mongrain, che oltre a ballare, coltiva anche in altro modo la passione per la musica: suona anche la chitarra elettrica in alcune band di musica rock e punk canadesi.
Dopo un inzio fulminante, sia per l'uso delle luci, che del corpo, è invece risultata meno coinvolgente del previsto "Des Feux dans la nuit", il solo che ha visto protagonista Simon Alarie alle prese con La Musique des mots di Rober Racine. Interessante l'idea di Marie Chouinard di effettuare un viaggio attraverso l'intimità e la fragilità dell'uomo. Ma il massiccio danzatore, supportato dalla performance dal vivo di un pianista, non riesce a decifrare fino in fondo le torsioni e i cambiamenti dell'universo maschile (risulta un po' ingabbiato in questa parte creata dalla coreografa), avviluppandosi in simil kata privi di guizzi aerei, preferendo ostentare una possanza statica, movimenti circolari, attaccati a terra, invece di lasciarsi andare alla dinamicità che l'azzeccato look un po' cyborg sembrava suggerire.
Voto
6 ½