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Chisciotte e gli invincibili
Di Erri De Luca
Con Erri De Luca, Gian Maria Testa, Gabriele Mirabassi
Al Teatro Puccini di Firenze17 e 18 marzo 2006

 




                     di Tommaso Chimenti


De Luca, Testa, Mirabassi: Chisciotte e gli invincibili
Gianmaria Testa: Tour 2004, Altre latitudini
Gianmaria Testa Trio: Tour 2001, Il Valzer di un giorno


Arrivano alla spicciolata. Attorno alla tavola di legno massiccio, alcune sedie. Gabriele Mirabassi impugna il suo clarinetto sempre più incantatore di serpenti, Gian Maria Testa, voce roca, sale e pepe in nero, pizzica la sua chitarra e gracchia le corde vocali, messer De Luca fa il Gran Cerimoniere di questa serata a sorsi di vino, rosso. L’antieroe per eccellenza cantato da Cervantes è ancora, purtroppo o per fortuna, presente, vivo ed attuale: uomini e donne in ritardo e fuori tempo massimo, visionari a cavallo della loro idea Ronzinante, scalcagnate imprese da comprimari. Ma chi sono gli invincibili? Coloro che anche se sconfitti non sentono il peso della disfatta, quelli che si rialzano, quelli che non si fanno demoralizzare, che non si abbattono facilmente, che dopo uno schiaffo non hanno paura di altro dolore, di altri lividi, chi si sente sempre coinvolto e tirato in causa, chi risponde alle prepotenze anche se non a lui dirette: chi difende il prossimo. Chisciotte sono i migranti che cercano una patria e coloro, come quelli della Val di Susa, che difendono la propria, aggiunge lo scrittore partenopeo, totalmente a suo agio in questo quasi one man show di basso profilo, racconto per pochi intimi in uno scantinato di campagna, una novella prima della notte, una catacombe ricca di volti, rifugio antiatomico dal sapore di suono di parole lontane. Da sopravvissuti, rifugiati e reclusi, salvati e scampati all’orda di televisione e fiction e nomination e politica di bassa Lega. Ed arriva Hikmet, mentre alle spalle un attaccapanni con pastrano al seguito, colapasta in testa ed ombrello come lancia a pungere e fendere l’aria, diviene ombra e visione proiettata. Mentre Mirabassi sale e scende sulla propria scala da imbonitore di boa indiano, Erri snocciola poesia a grappoli e si va da Sarajevo sotto le bombe agli alpini de “la meglio gioventù che va sotto terra”. Testa canta Boris Vian nella canzone del disertore che “possono anche spararmi, io armi non ne ho”, poi arriva Bertold Brecht e De Andrè in una scaletta scelta di pioli nel tempo senza consecutio temporum ma dal pathos toccante, vero, vivo, pieno. In fondo, siamo uomini, non dobbiamo scordarcelo.

Voto 8 

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