De Luca, Testa, Mirabassi: Chisciotte e gli invincibili
Gianmaria Testa: Tour 2004, Altre latitudini
Gianmaria Testa Trio: Tour 2001, Il Valzer di un giorno
Arrivano alla spicciolata.
Attorno alla tavola di legno massiccio, alcune sedie. Gabriele
Mirabassi impugna il suo clarinetto sempre più
incantatore di serpenti, Gian Maria
Testa, voce roca, sale e pepe in nero, pizzica la sua chitarra e gracchia
le corde vocali, messer De
Luca fa il Gran Cerimoniere di questa serata a sorsi di vino, rosso.
L’antieroe per eccellenza cantato da Cervantes è ancora, purtroppo o per
fortuna, presente, vivo ed attuale: uomini e donne in ritardo e fuori tempo
massimo, visionari a cavallo della loro idea Ronzinante,
scalcagnate imprese da comprimari. Ma chi sono gli invincibili? Coloro che anche se sconfitti non
sentono il peso della disfatta, quelli che si rialzano, quelli che non si fanno
demoralizzare, che non si abbattono facilmente, che dopo uno schiaffo non hanno paura di altro dolore, di altri lividi, chi si sente
sempre coinvolto e tirato in causa, chi risponde alle prepotenze anche se non a
lui dirette: chi difende il prossimo. Chisciotte sono i migranti che cercano
una patria e coloro, come quelli della Val di Susa,
che difendono la propria, aggiunge lo scrittore partenopeo, totalmente a suo
agio in questo quasi one man show di basso profilo, racconto per pochi intimi
in uno scantinato di campagna, una novella prima della notte,
una catacombe ricca di volti, rifugio antiatomico dal sapore di suono di parole
lontane. Da sopravvissuti, rifugiati e reclusi, salvati e
scampati all’orda di televisione e fiction e nomination e politica di bassa
Lega. Ed arriva Hikmet,
mentre alle spalle un attaccapanni con pastrano al seguito, colapasta in testa
ed ombrello come lancia a pungere e fendere l’aria, diviene ombra e visione
proiettata. Mentre Mirabassi
sale e scende sulla propria scala da imbonitore di boa indiano, Erri snocciola
poesia a grappoli e si va da Sarajevo sotto le bombe agli alpini de “la meglio
gioventù che va sotto terra”. Testa canta Boris Vian nella canzone del
disertore che “possono anche spararmi, io armi non ne ho”, poi arriva Bertold Brecht e De
Andrè in una scaletta scelta di pioli nel tempo
senza consecutio temporum ma dal pathos toccante,
vero, vivo, pieno. In fondo, siamo uomini, non dobbiamo scordarcelo.
Voto
8