Zoom Festival, seconda edizione, 2007
Zoom Festival, prima edizione, 2006
Cristina Abati – Mangiare la luna, 2006
Teatro Sotterraneo, UNO – Il corpo del condannato , 2006
Daniele Timpano – Dux in scatola, 2006
Antonio Tagliarini, Titolo provvisorio: senza titolo, 2005
Teatro dell’Esausto – La caduta, 2006
Cosmesi – Mi spengo in assenza di mezzi, 2006
Bobo Rondelli e Andrea Cambi – Farsa, 2006
Che fatica
fanno in scena Tommaso Gabbrielli e Alessandro Raveggi… Il loro confrontarsi con un
nuovo testo, nato come azzeccato omaggio a Samuel Beckett , è
un’appassionante battaglia teatrale, un ring delle arti sceniche in cui c’è
spazio per il colore, per le invenzioni, per una drammaturgia controcorrente
decisamente di qualità.
La caduta del Teatro dell’Esausto, presentato al
Teatro Studio di Scandicci l’8 Dicembre 2006 per ZOOM
festival (e finalista del premio
Dante Cappelletti 2005) è un esempio di come le nuove generazioni teatrali
possano fare (e bene) della tradizione in movimento. E’ il caso del Teatro dell’Esausto,
che ha creato un moderno testo beckettiano,
senza copiare Beckett,
senza farsi trascinare dai luoghi comuni e dalla frenesia filologica.
Dove c’era idealmente il bianco e nero, c’è
il colore. Non si tratta solo di un espediente scenico, ma di un paradigma che
investe tutto il testo e la sua messa in scena. Un quadrato di
erba sintetica, quattro metri per quattro, con una cassa amplificata
frusciante in un angolo destro e un cassonetto nero di plastica sull’angolo
sinistro. In questa sorta di ring senza recinzione ci sono due personaggi che
si avviluppano in un polilogo paradossale con un pappagallo moribondo.
Il testo, come dicevamo, non da requie ai due
protagonisti, che si appoggiano alle parole, ai gesti, ci scivolano sopra, come
due mattatori consumati. Forza del nuovo, ma anche sana voglia di combattere
fra loro e con le parole, come in un block party del
Bronx o un dirty dozen senza rime e insulti, ma con un eloquio fluente. Il proto-rap di
Tommaso e Alessandro non va avanti a slogan, ma ad astrazioni e trovate esistenziali. Anche se nessuno dei due, come
in un
signifying monkey che si rispetti, cede volentieri il fianco all’altro, il confronto è continuo, epico e
spiazzante. Poco importa se vincerà il cinico o il poeta. Il testo incombe,
come l’inerme pennuto multicolore che suo malgrado sta al centro della scena o viene
sballottato, rimpallato con cura fisicamente e nei discorsi dei due in scena.
Non c’è nessun
Godot da aspettare, eppure l’atmosfera
di attesa, di sorpresa eternamente posticipata si configura
pian piano. E quando non te l’aspetti arriva un arbitro, ai margini della scena. Alcuni tondi verdi, fino all’ora
enigmatici, una volta rigirati si svelano di colore rosso, giallo, blu e verde e
vengono distribuiti sul suolo attorno al pappagallo, eternamente inerte al centro del quadrato.
Quasi come nel gioco
Twister prodotto sul finire degli anni ’60 dalla
MB, si cambia per un attimo gioco, ma non le posizioni.
E l’alterco
sembra non avere mai fine, come la ginnastica di elucubrazioni
dei due, come l'ibridazione
fra teatro concettuale e teatro di prosa che porta avanti con chiarezza in questo spettacolo
il Teatro
dell’Esausto. Risa trattenute, l’attenzione del pubblico vince sull’ilarità
che poteva scatenarsi a commento delle componenti
surreali della situazione. E quando sembra di essere in un vertigo senza fine
,dopo un ora serrata. il vortice
teatrale si consuma in poche, scandite azioni istantanee : il pappagallo, a cui
tante attenzioni erano state riservate vola nel bidone, come per confondere in
un ultimo anelito spazzatura e oggetto d’arte e sottolineare in maniera inequivocabile
ed elegante, lo sfinire dell'odierno spettacolo di massa.
Voto
8