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Alberto Severi
Babbuino Suite
Con Alberto Severi, Alessio Sardelli, Piera Dabizzi
Al Teatro del Sale, 15-16 novembre 2005

 




                     di Tommaso Chimenti


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babbuino Suite
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Ogni numero una puntata. Undici capitoli come i giocatori di una squadra di calcio. Un Narratore Ebbro, Alessio Sardelli, qui molto vicino alla recitazione che appartenne a Franco Di Francescantonio, due amanti- conviventi, il marito, l’autore Alberto Severi, e la moglie in cerca di fughe erotiche dimenticate, Piera Dabizzi che è subentrata al posto dell’iniziale Alessia Innocenti impegnata a Pistoia nella “Città dei Poeti”. Da una parte i due chiusi nel bagno, prigionieri di lusso come Hansel e Gretel, di un appartamento borghese nel Capodanno dei Capodanni, cioè la fine del secondo millennio e l’inizio dell’era 2000, l’ombra del millennium bug di Windows, i soliti botti. La nostalgia vola a sei anni prima quando in un’analoga situazione, e posizione, i due si erano conosciuti, il “big bagn”. Il Narratore, sempre più ubriaco nella sua personalissima via crucis di birre in mano, nella sua guerra con la bottiglia di bionda, ad ogni posta è sempre più ubriaco e sboccato, volgare e ciarliero, confuso e confusionario, caotico e avviluppato su se stesso. Contorto, sgualcito, raggrinzito e sudaticcio. Tutto tranne che un deus ex machina demoniaco che si diverte alle spalle degli umani, tutto al di fuori di un potente semidio che muove gli scacchi e le pedine del mondo, che osserva e ride, che gode delle miserie dei piccoli fallaci alle prese con la loro infima esistenza. Intanto impazza il riff “I tell you with my style” di Bertolt Brecht. Il Narratore, arreso e depresso e mai diabolico, è Altro e Altrove ma è comunque dentro la storia, invischiato nelle gioie, poche, e nei molti momenti di disperazione che affliggono gli esseri umani che stanno dall’altra parte della barricata. Quasi un angelo caduto e alcolizzato che si è sporcato le ali con la birra, con gli stracci, con le parolacce, rimasto invischiato ed intrappolato nel fango della vita. Severi ci prende gusto a stare sul palco dopo “Il Poeta e il Macellaio” con Cecchini della scorsa stagione. La sua gestualità è simile a quella di Alessandro Benvenuti, ma l’eleganza e la rigidità compassata e molto british del giornalista Rai esaltano ancora più le battute dette con la più assoluta neutralità. Il gap tra la visione estetica e l’audio suscita nel pubblico un’ilarità spontanea. Il classico duello dialettico tra un uomo colto e raffinato ed una donna molto più giovane arruffona e casereccia, “occhio cinico”, godereccia sessualmente parlando, che lo apostrofa con tutti i nomi tranne che con il suo. Nei fermi immagine sembra quasi di assistere ad un fotoromanzo in bianco e nero, un rallenty, un replay, un valzer nel quale il Narratore è in consolle disoccupato. L’Ebbro è avvinazzato e paonazzo, disperato e solo, e non può far altro che alzare la voce, farfugliare sillabe, incespicare sulle parole, ondeggiare pesantemente e pericolosamente gonfio di Peroni. Ogni volta fa un riassunto diverso tilisticamente delle puntate precedenti. Quasi fosse l’angelo custode ubriacone più che una vera e propria voce fuori campo. Loro intanto giocano con la carta igienica sfogliandola alla “m’ama non m’ama” o stringendosela al collo come boa di struzzo finché l’incantesimo si rompe. Alberto Severi ha pubblicato il volume “Il morbo di Pardini”, ed. Il Grandevetro / Jaca Book.

Voto 8 

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