Si parla sempre poco del cinema europeo, e soprattutto quello che sfugge è l’innumerevole creatività di molti giovani autori che si
muovono nel sottosuolo del cortometraggio: formato poco apprezzato dal pubblico
e ghettizzato dai media. In questo contesto,
non manca certamente la fertilità creativa, ma la stentata visibilità, relegata
spesso ai palcoscenici festivalieri o all’imprescindibili risorse di internet.
In questo marasma di giovani promesse, si distingue un autore belga classe
1969, attivo sia nella video arte che nella narrazione
filmica, il cui nome sconosciuto ai più è Nicolas
Provost. Autore versatile, ma soprattutto
imprescindibile sguardo al multiforme, inteso non solo al versante dell’immagine stessa, ma allo scindere ed espandere il senso plurimo del visibile, come esperienza sensoriale ed visionaria. Dal primo Need Any Help?, viaggio icastico tra le montagne di una coppia, persa tra
le parole e il tempo passato, si passa al provocante Madonna With Child, dove
l’aborto violento è visto come visione disperata di una segno tangibile di una
conversione, non di credo, ma di speranza e vita, in un mondo in cui tutto e
relegato a definizione preconcette. I hate This Town prende immagini di repertorio di film la cui memoria ci riporta a Russ Meyer, per inscenare un
gioco in cui il rapporto fisico diventa scherzosamente una prigione di sesso,
tra le mura di una città stringente. Yellow Mellow e l’elegiaco senso della solitudine intravisto in un breve attimo, come nel
lancinante minuto di Oh Dear,
sigla commissionata dal festival di cinema di Rotterdam, su una corsa in go kart
di tre bambini interrotta dalla presenza di un cerbiatto, in una atmosfera da
fiaba che incanta. Inevitabile il suo accostamento alla sperimentazione tout
court, con evoluzioni grafiche, attraverso l’accostamento dei fotogrammi in
movimento al centro del quadro, che danno vita vortici di senso pregnanti, come in Papillon d’amour e Bataille ( immagini da Rashomon ), o Pommes d’amour ( immagini da Hiroshima mon amour ). Passando al corto di finzione Exoticore, il cinema di Provost si misura con la narrazione filmica, attraverso la storia di un immigrato del Burkina Faso, che non riesce ad
integrarsi perfettamente nella algida società
norvegese. Lo sguardo del regista è volto ad indagare l’estraneità di questo
corpo al tessuto reale e sociale, con innesti visivi ottimamente orchestrati,
ma il limite sta nella storia di per se esplicitamente
prevedibile, anche se il finale suggella un momento di poesia che colpisce. The
divers è un piano sequenza di un incontro d’amore su un davanzale alle cui spalle dei protagonisti, un fragore di fuochi d’artificio
si abbatte all’orizzonte, esplicando l’immagine di un fusione d’amore in un breve circostanza di fuggevole essenza.
Induction è la vetta creativa di Provost.
Uno sciamano nero invade il privato di una casa borghese situato in mezzo al
verde delle montagne. L’ipnotico potere della sua presenza, avrà effetti diversi sui componenti della famiglia. Senso dello spazio e sospensione narrative, servite da un tessuto sonoro conturbante, ci regalano un piccolo gioiello di cortometraggio, pervaso da una
inquietudine per l’indefinito, che irrompe nel credo realista della quotidianità, destabilizzando i cardini consoni del conosciuto. Attualmente il regista belga è al lavoro con il suo primo lungometraggio, e potrebbe essere la sorpresa di una rivelazione completa.
Per contattare il regista o saperne di più, si può andare direttamente sul suo sito: www.nicolasprovost.tk/
Voto
8