Un bel centenario
non si nega a nessuno. Ci sta pazientemente arrivando l'infaticabile Regina Madre, l'unico
vero baluardo mondano della monarchia inglese, giunta a quota 99. Lo guarda dall'alto (dei
cieli) un altro celebre suddito di sua maestà, mr.Alfred Joseph Hitchcock,
che il 13 agosto del 1899 venne alla luce in un sobborgo di Londra. Decise di fermarsi,
più semplicemente, all'età di 79 anni e spiccioli, passando a miglior vita il 29 aprile
del 1980. Già da tempo non faceva più film (l'ultimo, Complotto di famiglia,
data 1976), ma non disperava di poter tornare sul set. Difficile arginare l'oceano
d'inchiostro che si è riversato da sempre su Hitchcock ed aggiungere un verbo
qualsiasi, che sia solo un minimo significativo. Abbracciando in toto l'istanza
celebrativa, non si può fare a meno di notare che Hitchcock è un evergreen non da
poco, un classico, e come tale del tutto permanente. Per la maniera, abile e
spregiudicata, di gestire il racconto cinematografico, innanzitutto, ed i suoi tempi. Non
c'è solo il famoso meccanismo
del suspense a dimostrarlo, ma scelte inedite, come far morire la
protagonista a metà del film in Psycho o rivelare allo spettatore la doppia
identità di Kim Novak ne La donna
che visse due volte. Un continuo gioco di sapienti deviazioni narrative, che
sviano l'attenzione e poi colpiscono a freddo. Per le sue feroci ossessioni sessuali,
distillate in simbologie tanto semplici da rivelarsi crudeli, come il treno-galleria alla
fine di Intrigo
internazionale, o in momenti di pathos erotico assoluto, come il bacio Ingrid Bergman-Cary Grant in Notorius, o il dellittuoso abbraccio
(con forbici) tra Grace Kelly e il suo
assassino ne Il delitto
perfetto. Sulle quali gli psicoanalisti hanno vergato molte sciocchezze, partendo
da traumi infantili di Hitch, come se non fosse abbastanza chiaro che un film già di per
sè è una malattia. Ossessioni sessuali che si sono tramutate in una lunga
teoria di donne bionde, che Alfred adorava, da Grace Kelly a Tippi Hedren passando per Kim
Novak, Janet Leigh e Eve Marie Saint, con poche rispettabili eccezioni (la Joan Fontaine
di Rebecca e Il sospetto). Virtuoso della macchina da presa (provate
l'emozione di scivolare lungo il dolly di Notorius verso la famosa, decisiva
chiave), Hitchcock ebbe la lungimiranza di circondarsi di collaboratori di
prim'ordine: il titolista Saul Bass, o il compositore Bernard Herrmann,
che ha scritto per il regista inglese alcune delle più belle partiture delle storia del
cinema. Capace di rischiare anche in progetti del tutto personali e quasi sperimentali,
per l'ambiente hollywoodiano (Il ladro
del 1957 su tutti), fu il primo a capire che anche il regista può essere una star,
con la propria immagine, oltre che con i suoi film. Un narcisismo innato lo portò ad apparire fuggevolmente in tutte le
sue pellicole (come il pittore che firma un quadro), e a presentare personalmente i telelefilm della serie che da lui prende il
nome. Con un seguito di pazienti esegeti (François Truffaut in testa) e allievi devoti
(il più fervente dei quali è sicuramente Brian De Palma),
Hitch gira la pagina di un centenario virtuale. Una buona maniera di festeggiarlo ?
Tornare a vedere Psycho,
rimesso in circolazione dall'Istituto Luce. O dare un'occhiata ai suoi film del periodo
inglese, quelli dal 1926 al 1939, che sono di sicuro i meno conosciuti: dal primigenio The Lodger, muto, ai 39 scalini e Sabotaggio, autentici gioielli di
mistero e tensione. O ripassare all'infinito quel definitivo, mortale capolavoro che è La
donna che visse due volte, tornare a seguire James Stewart
che segue Kim Novak nelle architetture spagnole di S.Francisco fino alla fine, in cima a
quel campanile. Dove, ad aspettarvi, troverete Alfred
Joseph Hitchcock. In persona.
Voto
9
|
 |
|