"La figura
del fotografo, scelta da me in conformità delle mie esigenze, diverse nel
corso degli anni, registra tecnicamente quello che vede,
quella costruzione visiva dell’immagine o dell’azione che io stesso concepisco.
Mi viene in mente Cézanne, quando diceva di voler cogliere una realtà senza
però trovarla già fatta, ma creandola da sé. E’ un po’ questo il rapporto che
ho con la fotografia, nel suo valore strumentale, non linguistico”.
Michele
Zaza usa la fotografia, ma non è un fotografo, preferisce
piuttosto definirsi un pensatore di immagini. Lo dimostra nella
mostra “Io sono il paesaggio” in programma dal 16 Maggio al 16 settembre 2007 nel
grande spazio espositivo (oltre 400 metri) della Galleria SIX di Sebastiano Dell’Arte, in
Via Carducci 10 a
Lissone (Milano).
la fotografia di
Michele Zaza, traduce il tempo lineare in tempo circolare, perpetua le immagini
della vita, fermate ed isolate nel loro movimento, conducendo alla meditazione,
nella quale l’uomo si concentra sul proprio essere, per diventare quello che
vuole essere. Le grandi sequenze e l’opera con sculture, presentate in
occasione della mostra alla Galleria Six, restituiscono, in un'atmosfera carica
di simboli, la figura di un corpo supremo aperto alle relazioni ed interazioni
con uno scenario segreto: un corpo, a volte maschile a volte femminile,
trasfigurato mediante il maquillage blu del volto, e custodito da forme
misteriose, presenze scultoree archetipiche, o da elementi d'uso del quotidiano
(le molliche, l’ovatta, il cuscino).
Michele Zaza dichiara in merito: "Lungi da ogni sorta di condizionamento
tecnologico dominante, nelle ultime installazioni sono fortemente inclinato a
ricostruire una situazione primordiale nella quale è possibile incorporare una
condizione umana oltrepassata e trasfigurata".
Una ipotesi di
centralità-unità-totalità che mi permette di concepire una configurazione
cosmologica, di mettere insieme terra, cielo, uomo. E la coscienza, che diviene
il filo conduttore di una realizzazione ideale del mondo a partire dal suo
naturale fondamento antropologico. Umanizzazione dalla natura e
naturalizzazione dell’uomo si compenetrano fino al conseguimento di una
cosmologia umanistica. Un paradiso adulto che si manifesta e si concretizza
come prototipo portando l’essere oltre se stesso.
“La vita corre e noi la
seguiamo – spiega Zaza -. Io cerco di rovesciare
questo rapporto. Mi fermo, scelgo la lentezza. Sul sentiero dell’immagine
realizzo la mia modificazione corporale e mentale. Cerco di conquistare una
verità che trascenda la morale e la sociologia. D’altra parte l’irrequietezza
dell’artista, questo senso di quotidiano inappagamento, genera costantemente
pensieri di opposizione alle figurazioni familiari del reale formulato, e da
quei pensieri verso continui sviluppi espressivi arricchiti da nuovi elementi”.
Michele
Zaza nasce a Molfetta (Puglia) il 7
novembre 1948. Dopo aver frequentato l'istituto di Belle Arti di Bari, si
trasferisce a Milano per seguire il corso di scultura di Marino Marini all'Accademia di Brera.
Nel 1976 con il ciclo intitolato “anamnesi”, invita lo spettatore ad un mondo
magico dove le figure sembrano volare, e cibarsi di molliche di pane. L'artista
apre uno spazio celeste e onirico che evoca la misteriosità dell'universo, uno
spazio di libertà ritrovata. Verso la fine degli anni '70 le sue opere
invertono il rapporto tra l'alto e il basso, il cielo col pavimento, liberano
le cose dalla gravità del mondo "normale", dalla loro funzione
utilitaria. Negli anni '80 e ‘90, le opere iniziano a sconfinare nello spazio
reale: le sculture in legno si collocano al di fuori dello spazio fotografico.
Fotografia e scultura si rafforzano reciprocamente. Le pareti espositive
diventano un luogo riferito metaforicamente alla struttura dell'universo, alla
terra, e insieme al cielo.
Voto
7