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  26/04/2024 - 14:17

 

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Scanner - arte
 


Giuseppe Tornatore, fotografo in Siberia
La città di Novij Urengoj, scrigno energetico nel cuore della tundra russa
A Palazzo Fontana di Trevi a Roma
La mostra fotografica è dedicata ad Emilio Tadini

 




                     di Rosanna Gangemi


Trecento splendide immagini in bianco e nero, formato 50x60, dai forti contrasti luminosi e chiaroscurali sottolineati dalla rigorosità del bianco e nero; foto che si susseguono in capitoli, i cui incipit corrispondono a grandi immagini corredate da impressioni di viaggio tanto brevi quanto preziose.
E' "Giuseppe Tornatore, fotografo in Siberia", rassegna che è stata ospitata a Palazzo Fontana di Trevi fino al 30 marzo 2003 con più di un aspetto singolare: l'autore degli scatti è un viaggiatore d'eccezione, il premio Oscar Giuseppe Tornatore, regista, documentarista, sceneggiatore e produttore; il luogo rappresentato, è un centro di centomila abitanti, Novij Urengoi, immerso nel rigidissimo freddo siberiano e nel suo paesaggio surreale.
Curata dallo stesso cineasta e dal pittore-scrittore milanese Emilio Tadini, che si è occupato dei testi e alla cui memoria viene dedicata questa edizione romana, l'esposizione racconta di un viaggio alla scoperta di una città senza periferie né passato, nata solo ventitré anni fa grazie alla valorizzazione degli oltre 6000 miliardi di metri cubi di riserve accertate di gas naturale.
Ed è lo stesso Tornatore a raccontare, sulle pagine del catalogo della mostra, com'è iniziata questa avventura agli estremi confini della Siberia che ha condotto a questo speciale taccuino di viaggio.
Mentre si avviava a concludere il montaggio de "La leggenda del Pianista sull'Oceano", "un bel giorno la voce nordica e gentile di Alberto Meomartini", presidente dell'Italgas, lo invitò a Novij Urengoi per realizzare un reportage fotografico. "Ora, non è che la parola Siberia in genere faccia pensare a qualcosa di concreto, di preciso e di palpabile, e men che meno l'impronunciabile nome di quella sconosciutissima città, ma in quel momento a me evocarono la solidità di una lima di ferro nascosta dentro la pagnotta impavidamente inviata al carcerato". Ad accoglierlo una città quasi metafisica, "circondata dal grande nulla della tundra", l'ha definita Tornatore, "sospesa nell'immensità del tempo come è sospesa nell'immensità dello spazio", gli ha fatto eco Emilio Tadini.
C'è da crederci, a giudicare dalle immagini esposte e da alcuni dati: Novij Urengoi, la città che "non esiste sulle carte geografiche", è sul circolo polare artico, ha un inverno di 285 giorni e temperature sotto i 50 gradi, un'estate di 35 giorni e pochissime ore di luce. Il giorno più corto dell'anno dura solo 1 ora e 7 minuti, senza contare i frequenti cicloni e le tempeste che flagellano abitanti e territorio e i due mesi, giugno e luglio, in cui il sole non tramonta mai, anticipando il periodo delle dostoievskiane notti bianche. È inoltre letteralmente circondata dalla tundra, lontanissima dagli altri centri e vive in gran parte dei giacimenti di metano. Ed è proprio da questi, per intenderci, che arriva nelle case di buona parte d'Europa il gas. Forse anche nelle nostre.
Un luogo misterioso e incredibile che Tornatore ha voluto immortalare tornando nuovamente a guardare il mondo attraverso un obiettivo fotografico. Infatti, quello a Novij Urengoi è stato per il regista siciliano anche un viaggio a ritroso nel tempo, verso quegli anni in cui il futuro cineasta bagherese, armato di Rolleicord, viveva la sua "meravigliosa distrazione" andando in giro a caccia di gesti, di volti, di impressioni che più tardi sarebbero confluiti nelle pellicole dei suoi film. "Avevo dieci anni quando ho cominciato a usare la macchina fotografica. Da allora per circa un decennio essa è stata per me una specie di indumento, qualcosa che si indossa necessariamente la mattina prima di uscire per strada, qualcosa senza la quale non puoi muoverti, qualcosa di molto simile alle scarpe". Anni di pedinamenti e appostamenti, che gli insegnano a osservare la gente, a studiarne espressioni e movimenti, sino quasi a prevenirne le azioni. Appunti di un'inconsapevole ricerca grazie alla quale oggi Tornatore dà abilmente vita e verosimiglianza ai personaggi dei suoi film.
Passione attraverso cui scopre che "se fotografi uno sconosciuto, nell'istante stesso in cui fai scattare l'otturatore, quella persona smette di esserti estranea, perché la porterai sempre con te...". Con queste parole il regista di "Nuovo Cinema Paradiso" ha introdotto il suo ritorno alla fotografia, dodici anni dopo la sua ultima mostra, al racconto documentario, che gli ha permesso di farci conoscere volti e abitudini degli abitanti di Novij Urengoi, bambini e adulti in gran parte sotto i trent'anni e di oltre quaranta nazionalità diverse, tra cui russi e ucraini, tartari, armeni e nomadi. Tanti, tantissimi i soggetti delle foto.
Vecchi camioncini con angoli smussati dalla ruggine, blocchi di prefabbricati sovrapposti, palazzi enormi e scrostati dalle facciate fatiscenti sotto un cielo che a volte pare di lamiera e altre si scioglie in mille vertiginose sfumature, capannoni industriali e stazioni di pompaggio della Gazprom.
Ma le architetture industriali si dissolvono improvvisamente nella tundra silenziosa, in spazi immensi costellati da folte foreste attraversate da fiumi tortuosi, distese di muschi e licheni a perdita d'occhio, deserti di neve e di ghiaccio, dove una vecchia sedia solitaria affonda nella neve. E poi arti e mestieri, palestre e ospedali, scuole, mercati e feste di nozze. Tornatore, in cerca di istanti da fare eterni, ritrae "l'anziana donna ferma ad una fermata d'autobus con le spalle disinvoltamente rivolte all'infinito deserto di neve, lo scultore poverissimo che si ostinava a non vendere le sue opere.
La signora che dormiva sulla corriera diretta alla stazione da cui avrebbe raggiunto Mosca in tre giorni di treno e la bellissima ragazza che vendeva aglio all'ingresso di un supermercato e i bambini che suonavano all'impazzata le campane della chiesa. I nomadi oltre il circolo polare artico, che vivono oggi come i loro antenati qualche secolo fa". L'insieme coinvolge emotivamente il visitatore per la diretta capacità narrativa delle immagini, oltre ogni distanza spaziale e culturale, come per la loro sublime, distaccata bellezza.
Durante l'esposizione, inoltre, il pubblico può assistere alla proiezione di quattro film del regista ("Una pura formalità", "L'uomo delle stelle", "La leggenda del pianista sull'oceano" e "Malena") e ad un pregiato documentario sul reportage effettuato, alle cui musiche ha contribuito un altro talentuoso Tadini, Michele, insieme al più noto Goran Bregovic.

Voto 8 

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