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Scanner - arte
 


Juergen Teller
il paladino di un realismo radicale
il glamour è tutto nella naturalezza

 




                     di Fulvio Paloscia


Se è vero che un'artista è ciò che fa, suJuergen Teller non ci sono proprio dubbi: t-shirt grigia slabbrata con buchi in bella vista, jeans di vellutino consunti, scarpe da ginnastica che gridano vendetta, abbigliamento sdrucito che sa di understatement proprio come le sue foto di moda, che lo hanno lanciato come il dimesso rivoluzionario di un'arte fin troppo patinata, come il paladino di un realismo radicale, dove il glamour è tutto nella naturalezza a tratti disarmante della modella fotografata. La mostra allo spazioDiscovery di Firenze (v. Faenza 111, fino all'8 luglio, orario 10-17), nell'ambito diPitti Immagine, espone 426 "Go sees" (che sarà anche il titolo del libro in uscita a settembre per Scalo), immagini uscite da brevi sedute fotografiche con ragazze in cerca di un futuro nel mondo della moda, in procinto di casting: le agenzie si sono rivolte aTeller per i suoi click che hanno fatto gridare al miracolo riviste come i-D, The Face, Arena,Vogue,Stern oppure griffe comeCalvin Klein,Hugo Boss, Matzuda,Katharine Hamnett; lui le ha ritratte per un anno sulla porta del suo studio in Ladbroke Grove, a Londra, così come si presentavano, nel loro essere ragazze qualunque, bellissime oppure no, ordinarie oppure raffinatissime, tutte portatrici di una vulnerabilità che fa parte del gioco: "la limitatezza di tempo dei "Go sees" crea una tensione nuova tra fotografo e modella, si sviluppa un rapporto simile a quello dei colloqui di lavoro dove chi intervista domina il candidato, che spesso si pone in una posizione di totale passività e accondiscendenza, quasi si sentisse inferiore". Dai 436 scatti emerge la ricerca di una purezza non della tecnica - essenziale, volutamente grezza e scorretta - ma dell'oggetto fotografato e, allo stesso tempo, nel loro essere tutt'altro che patinati, una velata critica ai vezzi del mondo della moda: "Una critica c'è, ma non necessariamente distruttiva. Rispetto la moda, solo che lavorarvi è frustrante, durissimo. Chi fa la modella si ritrova dall'altare nella polvere nel giro di pochi anni, senza sapere cosa fare della propria vita. E non è solo colpa dei canoni della bellezza che mutano continuamente, ma anche dei fotografi che, per rimanere vivi e ispirati, cercano volti sempre nuovi cannibalizzando quelli già consumati. Quando i miei colleghi mi chiedono se ho trovato un volto nuovo, mi sento in imbarazzo perché tutte le ragazze con cui lavoro hanno qualcosa da comunicare perché ognuno di noi ha una faccia che vuol dire qualcosa. Col tempo ho imparato una cosa: che la fotografia non sempre rende giustizia alle modelle. Quando il mio nome è cominciato a circolare con più forza, sono arrivate da me ragazze daChicago e dal Kentucky col loro bravo book con schede e immagini che falsavano la loro natura. Per me è sempre stato interessante la loro personalità reale: via il make up e il travestimento esagerato, meglio il primo impatto. Ciò che mi interessa adesso è documentare la donna di fine anni Novanta nella sua naturalezza". E com'è la donna di oggi rispetto a quella di dieci anni fa? "Si automotiva di più anche perché le dinamiche con l'uomo non è più chiara come negli anni Ottanta. Per quanto riguarda le modelle, quando ho inziato a lavorare imperversavano superdonne comeClaudia Schiffer eCindy Crawford, io ho sceltoKate Moss che ha rotto tutti gli schemi di bellezza perfetta aprendo l'era della fragilità". Le ragioni di questo brusco cambiamento di rotta? "Gli anni ottanta sono stati dominati dal potere, dalla ricchezza; i Novanta sono stati quella della fragilità. Hanno vinto le modelle in cui la gente può identificarsi". Che idea si è fatto dei ragazzi italiani, del loro modo di vestire e di essere? "Mi sembrano divisi in due gruppi: da una parte quelli vestiti in casual raffinato tipoBenetton, da un'altra coloro che, per uscire dalla pesantezza della cultura italiana, si colorano i capelli, si tatuano e infilano piercing dappertutto. C'è una specificità non nell'abbigliamento non nei capi, ma in come viene indossato e vissuto: grande attenzione alla raffinatezza del colore, agli accostamenti; per il resto, l'Italia non sfugge all'omologazione targata America. La ragione di questo dilagare degli Usa è il modo in cui gli americani hanno mandato avanti la propria cultura: sono così sicuri dei loro sogni e della loro realtà da imporsi in modo totale su tutto il mondo. Italia compresa, dove mi immagino camerette con pareti ricoperte di poster diKeanu Reeves, Pamela Anderson, Star Trek oil nuovo Guerre Stellari. Senza accorgersene, hanno assorbito un linguaggio comportamentale diverso da loro assorbendolo in profondità, senza distinguere dove finisce la propria cultura e inizi quella americana". Tedesco, 35 anni, un libro dedicato a Berlino "il cui fermento culturale non ha una progettualità: ci sono tantissimi club o gallerie d'arte ricavati in luoghi destinati allo smantellamento, e che quindi hanno vita breve; non si percepisce dove andrà a finire questa iperattività, c'è una continua metamorfosi che non aspira a uno stato finale", Teller non ha fotografato solo modelle ma anche scrittori comeMartin Amis, rockstar comeBjork oElton John "ma non fa differenza: cerco sempre di entrare nella personalità di chi fotografo, a prescindere da chi è; il rapporto con l'oggetto fotografato cambia non per categorie, ma per individuo: per questo non amo ritrarre attori o cantanti su commissione di case di produzione o management che vogliono fotografie corrispondenti ai loro desideri, ai loro progetti di immagine". Tra gli artisti fotografati da Keller, c'è ancheKurt Cobain: "L'ho conosciuto nel '91 a Londra, prima dell'albumSmell like teen spirit: ho deciso di seguirlo nel tour in Germania, per cinque giorni, studiando il suo comportamento con i fan, i giornalisti, i fotografi. Mi ha colpito la sua presenza forte e il suo essere, nel contempo, riservato, timido. L'ultimo giorno di tour mi sono reso conto di non aver fatto neanche uno scatto, tanto ero rimasto coinvolto dalla sua personalità e dalla sua musica: ho recuperato in extremis, e lui si è offerto al mio obiettivo proprio in tutta la sua introversione, nella sua vulnerabilità". Dietro la morte diKobain, c'è l'incapacità di sostenere il ritmo della fama, dell'idolatria; c'è una resistenza - fallita - allo star system spersonalizzante a uno star system. Teller si è posto lo stesso problema in un video, "Can I own myself?", visibile in mostra, dove Kate Moss si veste e si trucca recitando stralci dal "Capitale" di Karl Marx: "Mi piaceva parlare dell'idea di proprietà relativo alla bellezza. Kate ha una'immagine davvero globale, conoscriuta in America come in Giappone, e allora mi sono chiesto: chi possiede realmente il suo sorriso, il suo volto? Quanto è lei stessa la proprietaria del suo 'plusvalore' di bellezza e quanto, invece, appartiene agli altri?

Voto 8 

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