Una Cuba lontana dagli
stereotipi del sigaro di Fidel Castro, del basco con la stella del Che, del
mojito di Hemingway
e delle jineteros. Una Cuba più
viva e più vera, quella raccontata da Giulio
Di Meo, ventinovenne casertano, ma residente
a Firenze dove studia e insegna Scienze Motorie, che
da domenica 18, e fino al 16 gennaio, esporrà le proprie opere alla Galleria
dell’Immagine in Borgo Pinti .
“Il motivo che mi spinge
sempre più spesso a fotografare Cuba
e il Sud America – afferma l’autore - è l’amore
immenso che provo per quei popoli” . Per Di Meo la fotografia è prima di tutto
un atto d’amore; condizione indispensabile per capire le cose, per dar loro un
significato che vada oltre la semplice immagine. Giulio è un fotoreporter con
occhi profondi, che lo spingono verso il reportage
sociale, ha già all’attivo mostre analoghe su Serbia, Brasile e Perù,
utilizzando scene di vita quotidiana per esemplificare, e al tempo stesso far
riflettere sulle contraddizioni, in questo caso, dell’Isla Grande.
La fotografia
come atto di denuncia in grado di sensibilizzare chi vive a
migliaia di chilometri di distanza. “Ma una foto non
deve dare risposte, non deve emettere sentenze, il suo compito è quello di
stimolare domande e interrogativi”.
“Quelli” cubani sono la prima parte del progetto “Riflessi Antagonisti”, che
comprende anche altri paesi sudamericani, come Brasile ed Ecuador. “Il titolo
nasce dalla constatazione che la situazione sudamericana è la conseguenza,
il riflesso, appunto, prima dei colonizzatori europei e successivamente
delle politiche statunitensi”. Paesi con ampie zone al limite
del sottosviluppo costantemente depredati delle proprie risorse naturali.
“Ho deciso di iniziare il mio progetto da Cuba come luogo simbolo di un
continente che ha sempre cercato di ribellarsi. La rivoluzione dei barbudos aveva sicuramente portato un’aria nuova di
libertà, ma insieme alle cose positive sono ogni
giorno più evidenti i limiti del regime castrista”.
Se il primo
riflesso riguarda le conseguenze sulla popolazione dell’embargo, il secondo ha
invece una concezione più interiore: “Ogni scatto non è la realtà, ma soltanto
una sua rappresentazione, è il fotografo che dà la propria interpretazione
attraverso l’obiettivo, fermando nel tempo un preciso e irripetibile
momento storico”. Immagini che raccontano, descrivono senza esprimere giudizi,
quelle di Di Meo, che non vogliono essere la Verità, ma più semplicemente una fetta di essa.
Infine il terzo e ultimo, il più semplice e diretto, quello delle
foto: un bimbo riflesso da uno specchio rotto, una banca con la vetrina
infranta, una bandierina che si ammira malinconica sulle onde del Malecon all’Avana
Info: “Riflessi cubani”, dal 18 dicembre al 16 gennaio, dal lunedì al
sabato, orario 10-12, 16-19, Galleria dell’Immagine, Borgo Pinti
42/R,
Voto
7