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  26/04/2024 - 05:51

 

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Daniele Capecchi
Personale Writers/ Scrittori”
Fra pittura e fotografia
Alla galleria Lo Spazio di via dell’Ospizio, Pistoia, vernissage: 22 ottobre ’06, finissage: 11 novembre ‘06

 




                     di Tommaso Chimenti


A pochi mesi dalla sua mostra “Portraits” (Ritratti), il pistoiese Daniele Capecchi riprende il concetto del passaggio dalla fotografia alla tela. Lì il processo si era sviluppato sul rapporto tra immagine, o il suo fermo, istantanea di un momento pruriginoso (i “modelli” erano stati carpiti da film a luci rosse in pose erotico- sessuali) e trasposizione pittorica che se da una parte ne esaltava l’attimo, il momento e la veridicità dell’azione, dall’altra la puliva, la “ripuliva” da messaggi, da routine basiche, dalla dietrologia spicciola che sta alla base, dietro o davanti (se vogliamo cercare facili doppi sensi), ad una pellicola hard. Qui, inaugurazione allo “Spazio dell’Ospizio” di Alice e Mauro a Pistoia, l’idea di fondo è più o meno la stessa. Dall’immagine morta ritrarne delle tele “vive”. Ed allora celebri, e meno, pose plastiche o statuarie di mostri della Letteratura, ovviamente con la maiuscola, sembrano rivivere nelle pennellate, rigorosamente in bianco e nero, quasi fosse uno scatto d’epoca, datato nella sua immediatezza, dense e spaziose di Capecchi. La mostra è stata organizzata in occasione della manifestazione “Letteraria” che ha compreso anche la premiazione dei racconti vincitori dei Co’libri: Antonio La Sala (“Alfa e Omega”) e Stephanie Leblanc (“Biblioteca”). Stando al centro della sala- libreria ci si trova accerchiati da occhi indagatori, che scavano, che controllano, chi languidi, chi apprensivi, chi ancora rassegnati o rabbuiati. Un velo, forse la morte, per la maggior parte degli scrittori ritratti, o soltanto l’eternità alla quale ognuno di loro sarà assunto ed assorto, sta tra lo spettatore e lo scrittore, un telo messo da filtro dall’autore quasi a sottolineare la familiarità e la distanza che intercorre tra un’opera letteraria, un romanzo, poesia, parole scritte, e colui che le ha messe su carta, inchiostro nero su pagine ferite bianche. Tra la bocca, e qui si ritorna alle porno star a labbra spalancate, e la scrittura, tra l’oralità e la prosa consegnata ai posteri. Così anche Hemingway perde la sua autorità (nel quadro più piccolo dell’esposizione) nel suo volto bonario, senza mojito, diviene quasi nonno e dell’autore di “Per chi suona la campana” non rimane altro che la barba fitta e folta da Babbo Natale, un sorriso ironico e rilassato, mansueto. Alda Merini è docile ed ha perso la fiammata, mentre Samuel Beckett, del quale si festeggiano proprio nel 2006 i cento anni dalla sua nascita, è duro e rugoso, impervio, in perscrutabile. Un ammasso di rughe tartarugose e fossi di campi e solchi arati concentrati e concentrici. Il passaggio di consegne tra persona e personaggio, tra prodotto creativo e autore che difficilmente collimano nella realtà. Mario Luzi, con i capelli sparati alla Einstein, in una posa bambinesca e da fanciullo esprime poesia pura con le mani infantili a sorreggersi il capo, un po’ scoraggiato, ma per puro gioco, o solamente stanco, di fronte all’obiettivo. E poi scorrono Bukowski e Burroughs, Pasolini (non poteva stare che accanto alla Merini), Miller. La scelta di Capecchi è insolita ed originale, accompagnata dal bel catalogo a soffietto edito da Settegiorni Editore che ritrae fotografie dei dipinti e una riproduzione degli scritti in lingua originale degli artisti, ed accomuna, virtualmente nella stessa stanza, personaggi che hanno fatto della loro scrittura un icona, un monito, una bandiera.

Voto 7 + 

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