Le informazioni sulle Accademie
di Belle Arti Italiane sono scarse, i siti ufficiali poco aggiornati, le
segreterie avide di informazioni, i forum a cui si rivolgono i ragazzi
telegrafici. Abbiamo dato un’occhiata alle prove d’ammissione nelle Accademie di Belle arti
di Firenze, Roma e Napoli: ecco il verdetto.
“Di dove sei?”
A farmi la domanda è una ragazza dall’aspetto un po’ alternativo, lunghi
capelli castano chiaro e look hippie: “Io sono di Bologna, ho fatto il test di
ammissione anche là, ma dicono che sono tutti raccomandati, e comunque è meglio
farlo da più parti, perché se non entri hai sempre un’altra possibilità”.
Ci troviamo nello spazio antistante l’antico edificio che ospita L’Accademia di Belle Arti di Firenze,
oltre a noi due altri ragazzi socializzano, tubo con i fogli in spalla, o in
alternativa la cartellina, parlottano per scaricare la tensione. Rispondo alla
neo hippie “Io sono di Napoli…” faccia sbigottita “E da Napoli sei venuta fin
qui?” Dice che anche lei ha pensato di trasferirsi nel caso passasse il test
d’ammissione in questa città, magari per cominciare potrebbe stare in doppia
con qualche altra studentessa, siccome gli affitti sono molto alti e non
vorrebbe pesare troppo sui genitori.
“Tu sai in cosa consiste questa prova?”
le chiedo. “Ho letto sopra il sito… ma non è aggiornato! Comunque credo che si
tratti di una natura morta. Ho chiamato in segreteria per avere più
informazioni, anche per l’orario del colloquio di dopodomani sai… ma non mi
hanno saputo dire molto. Ho chiamato più volte ma non sanno niente…”
E’ vero, l’ho constatato anche io.
Il portone principale si apre e subito tutti si assiepano lì davanti ansiosi di
cominciare. Nel cortiletto interno ci smistano a seconda della disciplina che
abbiamo scelto di seguire “Scenografia, a sinistra!” “I ragazzi che devono fare
scultura, con me!” “Decorazione, insieme alla professoressa bionda!” “Pittura e
grafica, chi deve fare pittura e grafica? Mettetevi in fondo al corridoio!”
Io ho scelto pittura, la neo hippie grafica, la prova è la stessa, quindi
entrambe ci mettiamo in fondo al corridoio. Guardandomi attorno mi rendo conto
che la maggior parte dei ragazzi sono stranieri. Chiedo ad una cinesina tutta
emozionata perché ha scelto di venire proprio a Firenze. In un italiano incerto
mi risponde che l’Italia è il paese dell’Arte e che Firenze è la migliore
accademia. “Si è vero, L’Accademia
di Firenze è sempre stata una delle più rinomate” mi conferma una donna
bruna sulla trentina seduta a terra. Non si tratta di una professoressa ma di
una casalinga che ha deciso finalmente di assecondare la sua passione di
sempre, l’arte.
Alla fine dopo una breve attesa ci sistemano in un’ampia stanza e ognuno di noi
si fionda mosso da un istinto di sopravvivenza davanti ad un cavalletto, grazie
ad un calcolo veloce a occhio che ci fa capire immediatamente che non ce ne
sono abbastanza per tutti. Quelli rimasti senza vengono condotti in un’altra
aula.
Dopo l’appello veniamo invitati a prendere i fogli da sopra un tavolo
disponibili in due misure, se non vogliamo utilizzare i nostri o ne siamo
sprovvisti, sono disponibili di due misure. Nelle seguenti sei ore (quasi tutti
non se ne vanno prima di aver consumato tutto il tempo a disposizione), ognuno
si concentra sulla natura morta, vasi, un pezzo di pane, un drappo rosso,
pentole e un bricco, al centro della stanza.
Il secondo giorno (non incontro di nuovo la neohippie perché questa seconda
prova non è in comune con grafica), sistemano al centro della stanza una
modella, non esattamente avvenente. Fortunatamente nessuno nutriva troppe
aspettative in merito. Ogni mezz’ora si dava la pausa per una ventina di minuti,
gironzolava, prendeva in caffè e riprendeva la posizione, e in questi lassi di
tempo i ragazzi ne approfittavano per guardare silenziosamente il reciproco
operato.
Trovandomi, decido di intrufolarmi anche al colloquio del giorno seguente.
L’orario indicato è dalle 8 e mezza di mattina fino alle 4 di pomeriggio.
Veniamo smistati per lettera in due aule adiacenti un po’ scalcinate e veniamo
invitati a mostrare qualche nostro lavoro, per chi ne aveva portati, e
sottoposti a delle svogliate domande “Che scuola hai fatto?” “Chi è il tuo
artista preferito?” “Di dove sei?”. Durata per ciascun candidato: dieci minuti.
A distanza di una settimana c’è l’esame di
Ammissione all’Accademia di
Roma. Mi ritrovo in mezzo ad una pletora di studenti senza sapere verso
quale delle due entrate speculari del grande edificio devo entrare. Seguo un
flusso, domando a qualche ragazzo, a qualche professore “scusi, per l’esame di
ammissione a pittura?” ma nessuno sa niente. Alla fine vengo trascinata verso
una specie di segreteria “Oh, ma è dall’altra parte!”
Esco e mi dirigo nell’edificio opposto, aggiungendomi ad un gruppetto sparso
che interrogato conferma di essere lì anch’esso per l’esame di ammissione. Ci
chiamano affacciandosi dall’ingresso:“Pittura terzo piano”. Aspettando su una
rampa di scale verifico che la maggior parte degli avventori sono proprio di
Roma, si stupiscono del fatto che io, non del posto, manifesti la mia
intenzione di prendere casa lì “Con quello che costano le case… qui in centro
te lo puoi proprio scordare” “Ma pure fuori non è che siano tanto economici…”
aggiunge una ragazza con il moicano di fianco a me.
A Roma per Pittura c’è una sola prova di disegno, con una modella, più graziosa
di quella di Firenze e oltretutto più ferma (riesce a mantenere la posizione
per più di mezz’ora) e un colloquio tra due giorni.
La fatidica mattinata del colloquio regna un clima di socializzazione, tutti a
mostrarsi reciprocamente i portfolio, e una preoccupazione per eventuali
domande di storia dell’arte che tutti affermano di ignorare “Comunque a me
hanno detto che il 95% dei ragazzi viene ammesso a Roma”. A differenza di
Firenze dove l’esame di ammissione era previsto solo per i ragazzi che non
avevano frequentato né Liceo Artistico né Scuola d’Arte, a Roma sono tutti
sottoposti alla selezione. Di adulti che tentano tardivamente la via dell’arte
ce ne sono molti di più che a Firenze.
Sono la prima ad essere chiamata. Viene commentato il mio disegno di due giorni
avanti, viene mostrato il mio portfolio, mi viene chiesto chi sia Giorgione e dopo pochi minuti
vengo congedata.
Napoli. Mi rimbomba nella testa la voce di un mio
amico iscritto proprio all’Accademia
di Belle Arti partenopea a scenografia: “Firenze e Roma sono due Accademie
inutili. Firenze non ha nemmeno il nome, uno pensa che sia valida solo perché Firenze è una città d’arte,
ma non è vero. Roma è una delle peggiori, c’è gente che da Roma è venuta a
Napoli tanto che si trovava male. Meglio di Napoli a livello di accademia c’è
solo Urbino. Ecco, su Urbino non
posso dire niente!” Arrivo con soli due minuti di ritardo nel cortile e già tutti vanno da una parte e dall’altra senza
sapere dove dirigersi. Chiedo informazioni a tre fanciulle sottobraccetto “Si,
anche noi dobbiamo fare l’esame di ammissione, però per Moda, Pittura non
sappiamo”. Mi aggrego comunque a loro e finisco a primo piano. Mi rivolgo ad un
uomo dal ruolo incerto e vengo spedita due piani più sopra. Arrivata lì un
gentile bidello senza che apra bocca mi domanda: “Pittura?” “Si!” “In fondo al corridoio”
“Grazie!” e schizzo verso l’aula.
All’interno, non capisco bene, la modella e la professoressa stanno avendo una
piccola diatriba. Non avevo portato i fogli sicura che come a Firenze e a Roma
avrei utilizzato quelli forniti da loro, e invece la professoressa parla con
qualcuno fuori la porta “Non ce li hanno i fogli? Ma come? Vabbè, ragazzi,
usate i vostri e noi poi passiamo a metterci il timbro e la firma!”
Me ne faccio prestare uno, un professore passa e ne critica le dimensioni
troppo ridotte: “Guarda, c’è un negozio appena fuori dall’Accademia, vai lì e
chiedi se hanno dei fogli Bristol”
E infatti molti ragazzi lasciano l’aula e seguono il consiglio.
Mentre la modella, raccapricciante ma quantomeno simpatica, si sistema su una
sedia, la professoressa consiglia: “Fatene più di uno di disegno, almeno due,
ma pure tre, quattro…così abbiamo più elementi di valutazione. Potete scegliere
tra la modella e la statua!” La statua in questione è un calco di putto senza
braccia.
Io decido di cominciare dal viso del putto, poi su un altro foglio che mi farò
prestare mi dedicherò alla modella. Ad un certo punto arrivano dei professori
dal corso di decorazione a reclamare la statua. Battibecco che si concluderà in
un compromesso di una cessione tra un’ora “Tanto per allora chi ha cominciato
la statua avrà già finito no? Mica dovete rimanerci troppo tempo, ne dovete
fare altri disegni, e avete tempo fino alle due”. Parafrasando “Iamm’ a c’ mov’r,
facit’ ambress’”.
Sono una delle prime ad andarmene, esco quasi corsa dal portone d’ingresso non
invidiando nemmeno un po’ tutta quella florida gioventù artistica.
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