“Ho sempre fatto ricerca, poi ci sono momenti particolari e sorprendentemente negli ultimi dieci anni mi è successo di essere particolarmente attivo”.
Franco D’Andrea ha vinto per la quarta volta consecutiva
il titolo di
Musicista italiano dell’anno, mentre la Lydian Sound
Orchestra di Riccardo Brazzale si aggiudica il
titolo di miglior Formazione dell’anno al Top Jazz, storico
riconoscimento assegnato dalla rivista Musica Jazz in base al voto espresso da
una rosa scelta di critici musicali del settore.
“Non l’avrei detto quando ero ventenne,
ma fra i 65 e i 75 anni mi sto godendo tanti progetti speciali –spiega Franco D’Andrea -.
Devo ringraziare il mio Dna: ho la fortuna di essere
ancora lucido, l’energia c’è ancora e mi assiste nel continuare a togliermi
tante curiosità”.
E’ motivato ed entusiasta Franco D’Andrea che con il
suo Electric
Tree continua il suo tour per presentare dal vivo l’album Trio
music vol.1, un progetto innovativo, nato dalla collaborazione con due
protagonisti assoluti della scena musicale italiana, nel campo del jazz e
dell’elettronica: il sassofonista Andrea Ayassot
e dj Rocca. Il secondo volume Piano Trio
con Aldo Mella & Zeno
De Rossi è uscito a settembre, il terzo e ultimo album della
trilogia uscirà all’inizio del 2017.
Un progetto che testimonia un fervore ritrovato?
“Qualunque artista jazz ha avuto periodi
speciali e altri meno. Mi viene in mente Tony Williams, che nei 5
anni in cui è stato nel quintetto di Miles Davis ha rivoluzionato la batteria
nonostante avesse 18 anni. Dopo quel periodo d’oro è stato un
grande, ma le innovazioni grosse le aveva già fatte. A me sta capitando
un po’ il contrario”.
Anche ai tempi del Perigeo non era mica male?
“In questo periodo ho avuto modo di
sperimentare musica mia. Con il Perigeo eravamo in 5 a comporre. Ero parte di
un gruppo e ognuno dava il suo contributo. Negli ultimi anni mi sono detto: O
adesso o mai più”. Qualcosa di interessante l’avevo fatta
anche negli ’80 con Tino Tracanna,
ma ultimamente sto sviluppando idee nate allora, che non avevano avuto
l’occasione di sbocciare”.
Largo allora all’ Electric Tree?
“Quando ho trovato musicisti speciali non me
li sono lasciati sfuggire: ho un equipe che mi segue da una ventina
d’anni. Musicisti che mi conoscono bene e che hanno seguito il progredire
dei progetti. Suonare piano solo per me è andare in avanscoperta per
vedere cosa c’è dietro l’angolo ed esprimere le mie idee in
musica. Col mio quartetto le strutturavo con complicati arrangiamenti. Da 10
anni mi posso permettere affidarmi a strutture sono più coincise e all’interplay
con chi suona con me”.
Anche con il breakbeat & drum and bass create dal dj?
“E’ una straordinaria new entry. Quando
l’ho conosciuto ho deciso di misurarmi con l’elettronica. Ho capito
che era un musicista con idee diverse dai suoi colleghi dj, che possedeva il
senso della forma e una certa conoscenza del jazz. E’ entrato con Ayassot
in questo progetto di tre cd realizzati con i tre trii con cui suono in questo
periodo”. Con tre repertori differenti?
“Non necessariamente in alcuni casi ripercorro
gli stessi brani con formazioni diverse. Le sorprese non mancano. Si passa da
avventurose versioni con l’elettronica alle polifonie improvvisate degli
anni ’20. poi
c’è il sestetto in cui lavoro con tutti gli alfieri del progetto,
scatenando combinazioni timbriche e ritmiche di ogni genere”.
Come vede il nuovo jazz italiano?
“Bene. Essendo negli ultimi 40 anni impegnato
anche nella didattica, posso affermare che dal 2000 le nuove generazioni hanno
fatto un salto di qualità eccezionale e che oggi ci sono almeno una
ventina di giovani italiani che possono fare la loro parte nel mondo del
jazz”.
Voto
9
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