Il teatro di narrazione è una realtà, un
autentico salvagente per la drammaturgia italiana dei nostri giorni, sempre più
strangolata fra mancanza di fondi e mancanza di idee. Ma non sempre questa
narrazione è coinvolgente, davvero intrigante: le favole ce le leggevano da
piccoli e il teatro di denuncia, fatto tanto per farlo, è sicuramente demodè.
Per fortuna anche in questo versante, popolato di mostri sacri e grandi
narratori come Dario Fo, Paolini, Vacis, Baliani,
Celestini, Curino, Enia, si muove ultimamente
qualcosa di nuovo. E, anche giovani compagnie iniziano a dire la loro, con quel
pizzico di freschezza in più che rende la narrazione ancora più fruibile e affascinante,
ma soprattutto condivisibile.
E’ il caso della Compagnia Teatri d'Imbarco che, con lo
spettacolo Fino all'ultimo sguardo, Studio per un ritratto messicano di Tina
Modotti, ha confermato che si può realizzare un ritratto impegnato, frizzante e
sferzante, senza strizzate nemmeno per un attimo l’occhio all’ovvio imperante,
alle barricate del tempo che fu. La piece presentata in prima assoluta il 12 e 13 gennaio 2007 al Teatro
Manzoni di Calenzano, in occasione della XV edizione del Festival nazionale
sulla drammaturgia contemporanea delle donne Autrici a Confronto, ha infatti il
pregio della semplicità e dell’efficacia. Come se Nicola
Zavagli, alle prese con pagine tratte dal romanzo biografico Tina di Pino Cacucci
(Feltrinelli editore) avesse scelto la sottrazione, la forza dell’essenziale
per realizzare la drammaturgia e la regia. Sulla stessa linea le scene e le luci
di Fabio De Pasquale, ma in particolare, su questa asciuttezza si specchiano
ottimamente le due protagoniste: Chiara Riondino (con la
sua chitarra a tracolla) e Beatrice
Visibelli. Una coppia azzeccata e ben assortita, che in scena, senza mai
sovrapporsi, dà vita alle varie anime della Modotti.
La narrazione a 2 svela in un racconto che
sgorga libero, fluente, i sentimenti e le avventure di una bella donna alle
prese con il suo tempo, condivide con il pubblico pensieri e dubbi di una
grande attivista politica e grande fotografa che ha iniziato la sua esistenza a
Udine nel 1896 per concluderla a Città del Messico nel 1942. La storia della Modotti e
nota e spesso (anche a ragione) mitizzata, per cui ci potevano essere dei dubbi
su una nuova messa in scena. E invece una Riondino ispirata, con le sue canzoni
originali o con sapienti citazioni di brani più o meno d’epoca, dà luce al
talento creativo di Tina, mentre la Visibelli scava nei sentimenti, Chiara crea con
chitarra e voce l’atmosfera che cambia e Beatrice descrive la società. Il
racconto va avanti per un ora, in uno scambio di testimone continuo e soffice,
senza spigolature.
La storia di per sé è di certo intrigante: la Modotti era partita a 17 anni
dall’Italia, su un piroscafo per la California. Poi come protagonista a Hollywood,
la
Mecca del cinema, dove questa bellezza esotica italiana
divide la scena con le star, con Rodolfo Valentino. Il
successo e la voglia di andare oltre la frontiera del
tempo, di irrompere nel Messico dei fermenti post-rivoluzionari. Con una gran
voglia di vivere e di cambiare il mondo, di battersi per i diseredati. Il Messico per Tina è anche la scoperta della fotografia.
Poi la Storia volta pagina. E Tina
viene accusata falsamente di aver attentato al Presidente. E dal Messico viene
espulsa.