"Estate, sei calda come il bacio
che ho perduto, sei piena di un amore che è passato.
Il sole che ogni giorno ci scaldava, che splendidi tramonti dipingeva, adesso
brucia solo con furor” (Bruno
Martino, "Estate")
"Viva l’Italia, derubata e colpita al cuore, viva l’Italia, l’Italia che non muore. Viva l’Italia, presa a
tradimento, l’Italia assassinata dai giornali e dal cemento” (Francesco De Gregori, “W
l’Italia")
Battiato, Cutugno, Pupo, Rettore,
Gaetano, Dalla, Fogli, De Gregori. Dall’altra parte, schierati ed accosciati: Zoff, Bergomi,
Cabrini, Collovati, Gentile, Scirea, Oriali (una vita da mediano), Tardelli, Conti, Graziani,
Rossi. E’ l’Italia che va, direbbe Caputo.
Con l’82 si chiudono gli anni ’70, tutto sembra girare
per il verso giusto, ma, forse, vista con gli occhi di adesso, quello è stato
l’inizio della fine, la piccola palla di neve lanciata a valle in forma di
valanga. Come per l’11 settembre 2001, anche l’11 luglio ’82 (nasceva Cassano) è una data
magica: tutti si ricordano dov’erano, con chi e che cosa stavano facendo. Più
epico l’82 sicuramente del 2006. Quando ancora i
terzini non si chiamavano esterni bassi, i contropiedi non ancora ripartenze,
c’era il libero e lo stopper, il centromediano
metodista, non c’era il fallo tattico, il fuorigioco di rientro, i numeri
andavano dall’uno all’undici, senza nomi sulle spalle, senza tatuaggi da
sfoggiare. Che gli italiani sono un popolo di santi, navigatori, poeti e
calciatori. Riccardo
Ventrella, con alle
spalle i suoi MCC,
dopo Tenco, diventa Enzo
Bearzot (pianto il 21 dicembre 2010, andatosene da friulano con dignità).
Ventrella è un diesel, come un’ala sulla fascia, prende campo a poco a poco,
studia il terreno di gioco, lo calca, ha i tacchetti giusti, non scivola
sull’erba bagnata, scatta, dribbla, palleggia, crossa: immarcabile. Lo spunto è
felice, gli assist ficcanti, i tunnel illuminanti: genio che smista. Incontenibile.
La nostalgia, non soltanto calcistica, per un’Italia che, naif e ingenua,
arruffona e scapestrata ma comunque viva, si taglia a fette. Così arriva,
serena e dolce, anche la commozione. Sembra di sfogliare, per chi ha dai
trentacinque anni in su, un album Panini, si girano le pagine,
si ascolta il frusciare della colla, lo spessore che aumenta, i doppioni da utilizzare per gli scambi il lunedì mattina a ricreazione a scuola. Ai cavalli di battaglia sonori Ventrella e soci danno una nuova veste, una nuova linfa,
rinfrescandoli con un sano rock carico e pungente. “L’italiano” di Toto Cutugno,
sbeffeggiato e chiuso nel cassetto del trash, è forse il vero inno tricolore, altro che Mameli o Verdi. E Bearzot racconta l’epopea della partita contro l’Argentina di Maradona, quella mitica contro il Brasile, si confessa, al di qua del palco, nella penombra tra le luci sulla band ed il nero in platea, in quel
luogo non-luogo, quell’anticamera dove i volti perdono i contorni e la magia del teatro fa vedere anche ciò che non c’è. Ventrella ha una voce che ricorda tutto il poetico lancinante di Federico Fiumani, il sentimento di Gianni Togni, l’acidulo di Alberto Fortis. Quello che ne esce fuori è un racconto musicale, cosparso
di un’ironia diffusa e sottesa come zucchero a velo, un concerto parlato, un
incontro, incrocio, incastro di una belle epoque che lascia quel sapore polveroso e rugginoso sul palato, che allappa le labbra in un sorriso stirato. Una lunga partita raccontata come una telecronaca sullo spartito. Che certe parole vengono meglio se messe in note, che certi pentagrammi vanno alfabetizzati. Ci passano davanti, sul grande schermo, Padre Ralph di “Uccelli di rovo” e la Carrà, il Drive In,
il “Gioca Jouer” di Claudio Cecchetto. L’instupidimento stava prendendo campo. Solo il calcio, quel calcio senza muscoli (Pizzaballa dove sei?), stava resistendo. Nel calcio possiamo ancora essere “Campioni del mondo”. Ce ne saremmo resi conto troppo tardi. E se non li avessimo vinti quei mondiali? Che cosa resterà degli anni ’80?, si chiedeva Raf. Ne “La bella estate” sta la risposta.
Voto
8