Enzo Iacchetti come mattatore e battitore libero, fuori dagli schermi e dagli schemi precostituiti delle risate finte di “Teatro Piccolo” di Milano, Fausto Bertinotti, definito dal conduttore “l’ultimo dei Mohicani”, con l’immancabile astuccio porta occhiali ed Ombretta Colli, moglie, cantante e trombata eccellente alle ultime elezioni nelle fila di Forza Italia, strano ma vero, soprattutto per la history del Signor G.
Ma l’amore fa questo ed altro.
Terza serata dopo gli interventi di Gioele Dix e Biagio Antonacci, Giorgio Panariello e Luca Barbareschi e Claudio Baglioni.
Sul palco un trio ben assortito: il sentimentale Ron proveniente dalla scuola bolognese di Dalla, il professore interista Roberto Vecchioni, sempre autoreferenziale e narcisista, e un Franco Battiato filiforme e ripulito, naso aquilino ed arcuato su se stesso, sempre più rassomigliante a Pippo Baudo, accompagnato dall’immarcescibile filosofo Manlio Sgalambro con la sua calata da zio di Benigni in “Johnny Stecchino”.
Due megascreen ai lati per godere delle facce dei due artisti che hanno aperto la serata: Anna Maria Castelli, con partecipazioni anche internazionali come a festival in Turchia o in Etiopia, con una bellissima voce ed uno spiccato senso scenico con un pugnace monologo sulla solitudine e Troisi, De Andrè, Gaber, perché ci hanno lasciato così presto?”, è il suo commento laico da sermone sul pulpito mentre la bara esce di scena e solo il vuoto permane tra le navate: ma stasera è una gran festa per tutti ed il miglior modo per ricordare Gaber sono i sorrisi, a tratti amari o pensierosi, che sapeva tirar fuori.
“Le lettere d’amore”, “Samarcanda”, “Bandolero stanco” e “Luci a San Siro”, un mini concerto dell’autore milanese, “bravo a fa i danè”, incurante dell’argomento della serata, dritto per la sua strada, mano in tasca, l’altra che a più riprese si sfiora i capelli: piacione.
Sgalambro introduce Battiato con tre poesie dell’ultima produzione: “Invasione di campo” da post Europei, “Un piccolo bordello di periferia”, ricordi giovanili tra le gambe, “Amici, non ci sono amici”, qui uomo in mezzo a tanti altri mortali.
Ed infine Battiato, asciutto, sobrio, sgabello e cuffie, capelli sciolti sulle spalle: “Povera Patria”, “La cura” e “La stagione dell’amore”, il suo sguardo che magnetizza le folle, incenerisce il giornalista che continua a fare domande.
Il finale di partita è il canto liberatorio su “La libertà”, tutti insieme appassionatamente
Voto
8
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