Dopo
più di vent’anni – La prima edizione era del 1983 – Maurizio Scaparro è tornato a confrontarsi con Don
Chisciotte attraverso i frammenti di un discorso teatrale. L’approccio non è un
ennesimo tentativo di esplorare il testo di Cervantes, ma una riuscita allegoria teatrale, della festa che
riflette la società nelle sue contraddizioni e dell’utopia carnevalesca e l’amore
di Cervantes e di Don Chisciotte per il teatro. L’eroe finisce per ritrovarsi
in un teatro in disuso, luogo congeniale per vicende
irreali a base di ombre, rumori, azioni sceniche. Il teatro si trasforma nel
luogo ideale per far vivere le avventure tutte mentali dell’Hidalgo: solo nel
mondo dell’illusione può realmente svolgersi la rappresentazione della finzione
e della menzogna. Nella versione di Scaparro, Don Chisciotte
non incontra tutti i personaggi del romanzo di Cervantes, ma solo quelli che hanno a che fare con il teatro: gli
attori di una compagnia, gli attori di una sacra rappresentazione, i burattini,
cioè i Pupi dei figli d’Arte Cuticchio. È in questo contesto
che Don Chisciotte prende progressivamente coscienza della vacuità delle sue
illusioni. Lo scontro finale sarà risolutivo. Ma sogno
e follia sono più vicini di quanto non si pensi.
Lo
spettacolo, che è stato invitato anche in Spagna per le celebrazioni per i
quattrocento anni del romanzo di Cervantes, pur facendo leva su una narrazione
metateatrale, si sviluppa tutto sommato in maniera
tradizionale. Un teatro di parola, d’attore, più che di azione,
forse un po’ troppo farsesco, ma sicuramente adatto a conquistare (e far pensare)
i gusti del grande pubblico.
Il
protagonista è lo stesso della prima edizione, il bravo Pino Micol
mette in scena un Don Chisciotte ingenuo, iracondo, sconsolato, talmente
irreale e consueto, da sembrare il contrario. Al suo fianco, al posto di Beppe
Barra (Sancho Panza nel 1983)
si muove con energia e verve un disincantato Augusto Fornari,
che fa da scudo al suo condottiero e al pubblico, rispetto alle elucubrazioni
donchisciottesche e alle incursioni schernitrici degli altri attori in scena,
che sembrano irridere più che il cavaliere un po’ tutto il genere cavalleresco.
La
lettura ragionata di Scaparro
riesce insomma a non stravolgere il senso del racconto, tratteggiando allo
stesso tempo una precisa identità (teatrale) a un Don Chisciotte che preferisce il
dramma dell’inazione a quello dell’azione. L’ adattamento, oltre che dal
regista romano, è firmato da Rafael Azcona e Tullio Kezich; le scene sono curate da Roberto Francia ed i
costumi da Emanuele Luzzati. Eugenio Bennato, musicista da sempre
attento alle culture e tradizioni popolari dei Paesi che si affacciano sul
Mediterraneo, è autore delle musiche, Mariano Brancaccio è ideatore delle
coreografie. In scena, accanto agli attori, ci sarà spazio anche per i pupi di
Filippo Verna Cuticchio, rappresentante della famosa dinastia di pupari
siciliani.
Voto
7