Cesira torna a casa. Dopo vari peregrinaggi e scorribande europee, Francia, Svizzera, di
recente Belgio, addirittura Vilnius e dopo il Teatro
di Rifredi (fino al 4 novembre, 14, 12 euro, 055.4220361) volerà a
Tirana, il testo di Manlio Santarelli, dalla stessa penna tra gli altri “Pulcinella”
con Massimo Ranieri e “Uscita d’emergenza”, festeggia i venti anni nel teatro
dei Pupi e Fresedde.
Con “Le tre verità di Cesira” Mordini e Savelli, regista, cominciarono la lunga e
fortunata stagione del teatro d’appartamento nelle abitazioni del quartiere
fiorentino. Stavolta la scena si è spostata direttamente sul palco, come per “L’ultimo harem”, per
ottanta spettatori a sera. Pubblico abbondantemente over
50. L’atmosfera è casalinga. Si scendono le scale, si passa davanti al
camerino, che porta il nome del personaggio, “Cesira Scognamiglio”,
e non dell’attore, Gennaro
Cannavacciuolo. Avvolti in questo vicolo napoletano tra bassi scalcinati,
una fotografia in bianco e nero proiettata, e mille panni colorati appesi, la
voce di Mina riscalda.
“Se telefonando”
accoglie, “E l’uomo per me” stende. Siamo ad un passo dal piccolo palco.
Gennaro-Cesira, vestaglia in raso da geisha, acqua santa
usata come profumo, foto di Maradona
e bandiera del Napoli, è la donna baffuta in un omaggio
sentito ai femminielli di via Toledo, al mondo omosessuale, al travestitismo. Le
tre verità sono le spiegazioni che il nostro Cesira si
è data sull’apparizione di quei baffi: è muffa, colpa dell’inquinamento o un
miracolo? Il testo è cosparso di crudeltà e piccole vere tragedie, un mondo,
emarginato e solitario che puzza di fiction (Cesira
parla con immaginari bambini-Godot, inesistenti
vicini di casa, fantomatici operatori televisivi o geometri comunali) e di
voglia di apparire, uscire da quel buco senza sole. Stupri, un aborto, sfratto:
drammatico e tragico, poco ironico. Cannavacciuolo è da spellarsi le mani. Mancano
all’appello “Parole, parole” della tigre di Cremona e “Malafemmina” di De Curtis,
forse anche “Madame” di Renato Fiacchini, che sarebbero cadute
a pennello, come il cacio sulla pummarò.
Voto
8