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  20/04/2024 - 09:38

 

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BLEACH!
Teatro Everest - Firenze 4 e 5 marzo 2005
regia di Rosaria Bux
Di Rosaria Bux e Gianni Bellini con Matteo Ceccarelli

 




                     di Tommaso Chimenti


Con “Everybody hurts” dei R.E.M.si apre quest’omaggio, spettacolo- evento, su Kurt Cobain, leader dei Nirvana, suicidatosi, con un colpo di fucile in pieno volto il 5 aprile 1994. Cobain avrebbe voluto collaborare con Michael Stripe, il frontman dei Rem.
L’operazione curata da Rosaria Bux, alla regia, ricordiamo il recente “Eclissi” a Rifredi, e Matteo Ceccarelli, tra i fondatori della compagnia “Teatro Sotterraneo” e da poco visto in “La vita bassa” alla Limonaia di Sesto Fiorentino, nel ruolo, troppo impegnativo, di monologhista nei panni del cantante-icona e del suo alter ego.
Una scena troppo ampia e profonda che ha inghiottito e fatto scomparire il giovane attore scuola Laboratorio Nove, seppur bravo tecnicamente ma a tratti “senza cuore” non dentro appieno al personaggio, alle sue spalle video in continuo riflusso che distoglievano l’attenzione, luci e colori debordanti, musica altissima che copriva le parole, un nugolo di oggetti di scena che hanno trasformato il palco in un party- souvenir-cimitero di varia oggettistica che ha trascinato il pubblico, composto da molti ragazzi con magliette e felpe della band grounge di Seattle, verso strade tangenziali periferiche rispetto al concetto iniziale.
Difficoltoso e sdrucciolevole impantanarsi in avventure simili: la riduzione, un’ora la durata, di un vero mito. Ho sentito un giorno qualcuno che diceva “Cristo, Mao, Che Guevara e Kurt Cobain”, indicando i guru della storia dell’uomo.
Non molto tempo fa un’impresa del genere aveva spinto la fantasia di Fulvio Cauteruccio nel mettere in piedi “Ico no clast”, la vita di Sid Vicious cantante dei Sex Pistols, riscuotendo alterne fortune nelle due edizioni proposte.
Il campo è scivoloso, ambiguo e duttile, la materia ampia e frammentaria ma prima un angelo, poi una bambola con un cordone ombelicale kitsch lungo metri, un pupazzo impiccato che scende dall’alto ed un contro sipario di fogli e pagine di giornale gracchianti (ricordava molto quello realizzato da Micol Medda per “Piccole Mosse” per la regia di Stefano Massini), hanno reso il campo troppo zeppo e zuppo di significati e significanti, tra il trash ed il barocco con punte di gotico, noir e decadente.
Problemi tecnici inoltre hanno reso la rappresentazione deficitaria anche se non capiamo dove doveva o voleva dirigersi in sostanza il lavoro, se nel grigio ed oscuro mondo della psicoanalisi, nel groviglio del rapporto genitori, divorziati nel caso di Cobain, oppure dall’altro lato invece voleva addentrarsi in una biografia dettagliata, precisa e puntigliosa, dal feto, vedi l’ecografia in video, ai vagiti, la chitarra, gli amori, Courtney Love la frontwoman delle Hole la rovina di Cobain come Yoko Ono lo fu per John Lennon, le droghe, lo sparo.
Poco utilizzate le musiche devastanti e rabbiose dei Nirvana, a volte in sottofondo altre sparate a mille, molti silenzi e pause: forse una band dal vivo avrebbe dato spessore alla musica, vero canale di comunicazione di Kurt, valvola di sfogo della pentola a pressione che lo attanagliava.
Un primo studio, sarà in cartellone nella prossima stagione dell’Everest, uno spazio rinnovato ed all’altezza, da rivedere ed in alcune sue parti da ripensare, ritoccare, sfoltire.

Voto 5 

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